Estonia, Lituania e Lettonia stanno aumentando gli sforzi congiunti per combattere le attività di spionaggio russe nell’area baltica, dallo scambio di informazioni allo sviluppo di programmi transnazionali, fino alle più recenti operazioni di sorveglianza massiva. Il clima di isteria russofoba che ricorda la paura rossa maccartista dilagante negli Stati Uniti degli anni ’50 potrebbe esacerbare ulteriormente le relazioni già tese con Mosca, ma anche condurre a schemi di controllo della popolazione di natura orwelliana giustificati dal timore paranoide di un’invasione russa alle porte.
La paura di uno scenario stile Donbass
Secondo le più recenti informative dei servizi segreti dei tre paesi baltici, la Russia non sarebbe più interessata al reclutamento di semplici spie e agenti doppiogiochisti ma anche a valutare la possibilità di creare un’insurrezione secessionista sul modello del Donbass.
La tesi sarebbe corroborata dal significativo aumento degli arresti di cittadini, e non, accusati di spionaggio e attività sovversive nell’ultimo quinquennio, e dal fatto che Mosca ha dimostrato di saper sfruttare le minoranze russe presenti all’estero come delle quinte colonne con cui perseguire piani destabilizzanti: è successo in Moldavia con la Transnistria, in Georgia con l’Ossezia del Sud e l’Abcasia, e dei possibili segnali hanno messo in allerta anche il Kazakistan.
Per evitare che una balcanizzazione indotta dall’esterno possa avere luogo, i tre paesi stanno procedendo alla graduale fusione delle loro agenzie di sicurezza, e stanno sviluppando progetti condivisi di lotta a forme di guerra ibrida.
Entro fine anno dovrebbe diventare operativa l‘Intelligence Fusion Cell delle Forze Operative Speciali Baltiche, formata da agenti provenienti dai tre paesi più la Polonia, al cui sviluppo hanno dato un contributo gli Stati Uniti. L’obiettivo ufficiale è di incrementare sensibilmente il controllo degli abitanti, in maniera tale da identificare con più semplicità, efficacia e velocità le possibili spie.
La russofobia radicata nei paesi baltici, che è storicamente motivata oltre che sorretta da ragioni geopolitiche, è abilmente sfruttata da Washington per mantenere la tensione nella regione a livelli costantemente alti ed incrementare la presenza Nato.
Il think tank RAND Corporation, noto per la produzione di analisi di scenario e strategie di lungo termine al servizio del Pentagono, ha recentemente realizzato un rapporto in cui paventa la possibilità che la Russia possa ricorrere ad operazioni sotto falsa bandiera (false flag) contro le minoranze russe di Estonia o Lituania per trovare un casus belli.
Lo spettro di una società orwelliana
La Lituania rappresenta un modello d’avanguardia tra i baltici, avendo sviluppato un sistema d’identificazione basato su criteri di classificazione come i “sostenitori del Cremlino”, che sono ad esempio impegnati nella difesa della Russia in rete, e i “potenziali responsabili”, che potrebbero innescare o prendere parte a rivolte.
Ogni tratto particolare dell’individuo viene preso in considerazione per capirne l’affiliazione politica e, quindi, le probabilità che possa trattarsi di una spia: tatuaggi, luoghi frequentati, contenuti postati in rete, abbigliamento, taglio di capelli, destinazione dei viaggi, amicizie e parentele in Russia e Bielorussia.
Lo specialista in guerra ibrida Eitvydas Bajarunas, al servizio del ministero degli Esteri, ha però spiegato che il sistema è ancora lontano dall’essere perfetto. Ha raccontato di un uomo sotto stretta osservazione perché ritenuto una spia, prelevato dalle forze speciali in un’area boschiva fuori Vilnius. Si è poi scoperto che si trovava in quel luogo per giocare a paintball.
Ed è proprio per la necessità di ridurre al minimo gli errori del sistema di sorveglianza che si contestualizza la prossima entrata in funzione della cellula transnazionale delle forze speciali baltiche, che potrà avvalersi del lavoro di più esperti, sparsi nei tre paesi. Nessuno, però, sembra porsi domande sull’eticità di un tale controllo di massa che già oggi si presenta con fattezze orwelliane e coinvolge persone che, come dichiarato da Bajarunas, allo spionaggio sono totalmente estranee, ma ciò nonostante vengono seguite, monitorate e anche ingiustamente arrestate.
Gli arresti eccellenti degli ultimi anni
In Lituania, a gennaio si è concluso il maxiprocesso a 67 cittadini di Russia, Bielorussia e Ucraina, accusati di spionaggio, con sentenze da 4 a 14 anni. Le accuse risalivano a reati commessi anche fino al 1991, ragion per cui hanno ricevuto la dura condanna di Mosca, che da anni denuncia l’esistenza d’un clima d’odio antirusso nei paesi baltici che si manifesterebbe attraverso persecuzioni giudiziarie e discriminazione di varia natura.
Sempre in Lituania, lo scorso anno è stato arrestato per accuse di spionaggio Algirdas Paleckis, un noto giornalista e attivista di sinistra anti-Nato, che è anche fondatore del Fronte del Popolo Socialista, che da anni era informalmente ritenuto sul libropaga del Cremlino. Le autorità non hanno specificato i reati commessi dall’attivista, limitandosi a dichiarare che era parte di un “giro coinvolgente agenti russi“.
Nel luglio 2017, invece, un tribunale della capitale aveva condannato l’ufficiale russo Nikolai Filipchenko a 10 anni di carcere, con l’accusa di aver tentato di reclutare uomini per inserire delle microspie nella casa del presidente.
In Estonia, a febbraio un ex militare, Deniss Metsavas, è stato condannato a 15 anni per aver venduto informazioni classificate al Gru, il servizio segreto militare russo. Secondo l’accusa, era in contatto con gli agenti del Cremlino sin dal 2007.