Boris Johnson non rinuncia a nessuna occasione per ricordare di essere il leader europeo della Nato maggiormente convinto nel contrastare duramente Vladimir Putin dopo l’invasione dell’Ucraina. Il primo ministro britannico nei giorni scorsi ha attivato la Joint Expeditionary Force, la “mini Nato” del Nord a guida britannica, e ha fatto discutere per il suo paragone tra la resistenza di Kiev e la scelta britannica di votare per il Leave nel 2016. Ora sta valutando l’opportunità di andare al più presto a Kiev per un incontro personale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Secondo il Daily Mail, con questo viaggio il premier britannico intende dimostrare sostegno all’Ucraina nella guerra con la Russia. Johnson ha chiesto a suoi funzionari di studiare la praticità e il valore di un viaggio nella capitale ucraina per i colloqui con Zelensky.
Tutti i fronti di Johnson contro Putin
Il viaggio sarebbe la seconda missione ucraina di esponenti di governi Nato nella capitale assediata dai russi dopo la sortita benedetta dall’Unione Europea dei premier di Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca mediata dal deus ex machina dell’esecutivo di Varsavia, Jaroslaw Kaczynski. Johnson, che ha definito Putin un “pusher di gas” e da anni indica nel contrasto a Mosca un obiettivo strategico, con la sua visita provocherebbe chiaramente un effetto ancora maggiore, mostrando la volontà dell’alleato privilegiato degli Stati Uniti di capeggiare il sostegno occidentale alla resistenza ucraina. Del resto, già da settimane i lanciarazzi Javelin made in Uk fanno strage delle colonne corazzate russe, l’intelligence di Sua Maestà collabora con quella di Washington nella raccolta informativa in sostegno all’Ucraina e BoJo è in prima linea per promuovere sanzioni draconiane contro Mosca e gli oligarchi.
Inoltre, per ovviare alla crisi energetica e alla tempesta inflattiva che rischia di portare con sé nuovi venti di recessione il premier britannico vuole rompere la dipendenza dal gas russo, che impatta per circa il 15% del mix energetico di Londra, rilanciando le attività del settore nucleare nel Regno Unito. Riunendo a Downing Street i rappresentanti dell’industria nucleare Johnson promuoverà una componente fondamentale della sua strategia: rilanciare l’energia nucleare costruendo, nota il Financial Times, sei nuove stazioni pronte a entrare in attività tra il 2030 e il 2050, per azzerare i legami energetici con la Russia. L’altra, fondamentale, è la ripresa della strategia di estrazione nazionale nei giacimenti del Mare del Nord: Rishi Sunak, Cancelliere dello Scacchiere, ha chiesto al Segretario agli Affari e all’Energia Kwasi Kwarteng di accelerare le licenze per sei campi estrattivi.
Johnson contrasta dunque Putin su tutti i fronti. E in quest’ottica aggiunge una profonda verve retorica. Nell’ottobre 2016 l’allora ministro degli Esteri di Theresa May invitava i cittadini a protestare sotto l’ambasciata russa mentre in Siria infuriava la battaglia di Aleppo. Oggi Johnson chiede una “nuova Norimberga” per Putin e il suo regime, definiti “criminali di guerra” la cui azione deve fallire.
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CAUSALE: Reportage Ucraina
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Il “momento Churchill”
C’è tutto Johnson in questa visione durissima del contrasto alla Russia di Vladimir Putin. Siamo certi che BoJo, avente nella sua mente come modello ideale il premier vincitore della Seconda guerra mondiale, pensi quotidianamente a Winston Churchill nel programmare la risposta strategica a Putin. La Germania nazista invista a Churchill è per Johnson la Russia di Putin. La Cecoslovacchia e l’Austria occupate dai tedeschi nel 1938 sono per Johnson l’Ucraina odierna: quello in corso, ha detto al congresso di sabato del Partito Conservatore tenutosi a Blackpool, “è un momento di scelta per il mondo, di scelta tra libertà e oppressione. Se Putin avesse successo si darebbe il semaforo verde a tutti gli autocrati del mondo. La sua è stata una scelta catastrofica, che deve fallire”.
La trincea dietro cui l’Ucraina del 2022 va difesa non deve, per Johnson, trasformarsi per l’Occidente in una replica della Conferenza di Monaco del 1938 denunciata da Churchill, che ai tempi criticò l’appeasment occidentale con Hitler. E proprio a Monaco 1938 pensava Zelensky parlando, nel capoluogo bavarese, ai leader occidentali poco prima dell’invasione. Come ha sottolineato Tag43, nelle ore successive all’invasione il 24 febbraio scorso “Boris Johnson è stato uno tra i primi leader occidentali a commentare l’attacco Russo. Il primo ministro britannico ha infatti sentito solo dopo Joe Biden il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale lo ha aggiornato sulla situazione nel Paese. In tale occasione Johnson avrebbe citato Wiston Churchill al telefono, dicendo che al momento Kiev starebbe attraversando “l’ora più buia” della sua storia”. Un riferimento non casuale, seguito subito dopo dalla costruzione del forte sodalizio con la Polonia per l’invio di armi e dalla massima pressione compiuta sugli alleati per opporre una linea di intransigenza.
Pur non contemperando ancora l’idea dell’intervento diretto, in sede Nato Johnson guida i Paesi, come la Polonia stessa, che ritengono possibile dissanguare la Russia sul campo e provocare il tracollo del governo di Putin. E dunque agisce di conseguenza. La guerra, inoltre, garantisce al suo progetto politico e alla sua figura individuale visibilità notevole in un contesto di crisi sistemica.
La lezione della Thatcher
Johnson ha compreso la lezione di Margareth Thatcher, che nel 1982 con la guerra delle Falkland seguita all’invasione argentina delle isole dell’Atlantico meridionale compattò dietro di sé il Partito Conservatore e l’opinione pubblica in una fase di acuta crisi dei consensi, ottenendo il semaforo verde per trionfare alle elezioni del 1983.
Johnson si preparava a questa opportunità da tempo. Incontrando Zelensky già a gennaio, minacciando Putin, chiudendo a ogni margine di trattativa BoJo guidava il partito della fermezza contro i russi già da diverse settimane. “Travolto dal party gate – lo scandalo sui brindisi a Downing Street in piena pandemia – il premier britannico ha un piano per uscirne, nel segno di Margaret Thatcher”, scriveva Formiche a inizio febbraio: “seppellire la valanga di polemiche a casa con una valanga di patriottismo”. In quest’ottica Johnson ha ottenuto con la crisi tre obbiettivi chiari. In primo luogo, compattare il partito dietro di sé e mettere a tacere ogni opposizione interna. In secondo luogo, il controllo totale sulla linea di politica estera. Lo scivolone di Liz Truss nell’ultimo colloquio con Sergej Lavrov prima della guerra e il tentativo di un finto premier ucraino di ottenere un colloquio col Ministro della Difesa Ben Wallace hanno garantito a BoJo un nuovo ruolo da uomo solo al comando. Terzo punto, un periodo di tregua politica de facto che cosente al premier di ragionare a mente fredda sulle strategie che verranno in altri scenari.
Dunque, ora come ora, un proseguo della crisi non è paradossalmente da ritenere come sgradito a Johnson. Che dalla posizione di falco tra i falchi può ottenere una posizione di centralità di Londra nell’estero vicino nordico del Regno Unito, iniziare a veder sostenuta la proiezione della Global Britain in ambito securitario, uscire dalle secche della crisi interna. Una strategia articolata e che, chiaramente, presenta dei rischi: se a giocare col fuoco sono nazioni come la Polonia la Russia capisce l’antifona. Se a farlo è il Regno Unito, chiaramente, le prospettive di un’uscita dal conflitto negoziata e dei rischi di un escalation possono cambiare drasticamente.