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La grande strategia di Angela Merkel é in pieno dispiegamento. E nel contesto dell’anno che porterà alla successione alla Cancelliera alla guida del suo partito, la Cdu, e con ogni probabilità alla testa del governo di Berlino è possibile che l’esecutivo della Germania fissi importanti paletti per gli anni a venire. Incassata la garanzia di una duratura centralità nell’Unione Europea con la sagace mediazione tra falchi e Paesi mediterranei, avviata una proficua coesistenza con la Russia di Vladimir Putin e pronta una nuova stagione di dialogo e confronto con gli Usa, partner indispensabile ma percepito rivale su diversi fronti (dal commercio alla tecnologia), resta solo un fronte su cui la Cancelliera non ha ancora posto le basi per un cammino di lungo periodo, quello dei rapporti con la Cina.

Secondo il Financial Times, a lungo la Cancelliera ha pensato di poter dialogare col Paese governato da Xi Jinping unicamente attraverso le leve negoziali del commercio. Sottolineando che a lungo “la Merkel ha rifiutato di vedere la Cina come un avversario” e “indicato come senza il coinvolgimento di Pechino molti problemi globali non sarebbero risolvibili”, il quotidiano della City di Londra ha di fatto voluto presentare la Cancelliera come una figura politica estremamente accomodante verso l’Impero di Mezzo.

Dato di fatto che non corrisponde pienamente a verità: la Merkel ha sicuramente gestito con grande pragmatismo i rapporti politici con una nazione che, con oltre 200 miliardi di dollari di scambi bilaterali, é il maggior partner commerciale di Berlino e ha più volte evitato di affondare il colpo, in sede nazionale ed europea, sull’utilizzo strumentale a fini politici del tema dei diritti umani su questioni come quella degli uiguri e di Hong Kong. D’altro canto, però, più volte non ha esitato a mettere i bastoni fra le ruote alla Cina quando pensava che alcune sue mosse violassero l’interesse nazionale tedesco. Spingendo per il blitz tedesco volto ad acquisire una quota nel porto di Triesteambito dalla Cina per la sua “Nuova via della seta”, o creando uno scrutinio più rigoroso sul tema del 5G, ad esempio.

A più riprese dunque si può dire che la Germania abbia attivamente contenuto le istanze politiche ed economiche cinesi, senza però assumere toni da “crociata” funzionali alle agende politiche degli alleati di Oltre Oceano. Più complesso é il tema dell’assenza di una vera e propria piattaforma politca e strategica su cui Berlino può contare per definire le sue relazioni con la Cina. Mancando il vincolo di un’alleanza formale, come il Patto Atlantico con gli Usa, la comune adesione a un progetto come quello comunitario o un solido e animato rapporto storico unito a importanti progetti e dossier comuni come nel caso delle relazioni con la Russia, è chiaro che giocoforza le relazioni tra Pechino e Berlino siano state estremamente condizionate dalle contingenze. Ora la Germania non può più dirsi, però, gigante economico e nano geopolitico, e dunque la riflessione merita di essere approfondita.

Non si può escludere che la linea Merkel diventi, sul medio-lungo periodo, strutturale. Ovvero che la Germania adotti nei confronti della Cina una realpolitik non legata alla più aggressiva strategia Usa e che alterni a seconda dei teatri d’azione fasi di espansione e contrazione nei rapporti con il Dragone. Oppure che, specie in caso di vittoria alle primarie Cdu di Friedrich Merz e di spostamento a destra dell’asse politico nazionale, il contenimento si faccia più serrato. A loro modo, i Verdi tedeschi che rappresentano i più papabili alleati futuri della Cdu in un prossimo governo dopo le elezioni del 2021 stanno provando a riposizionarsi in senso più critico alla Cina su temi come i diritti umani e la libertà d’espressione.

La relazione tra la maggiore potenza industriale del pianeta e la punta di diamante dell’economia europea, produttrice di beni strumentali e prodotti che all’industria cinese servono in maniera continua, non potrà che farsi sempre più complessa negli anni a venire. Dal comune supporto al multilateralismo ai piani per la libertà nei commerci, molti sono i temi su cui i governi dei due Paesi potranno trovare punti di contatto.

Ma altrettanto numerosi e complicati sono i possibili punti di frizione: la Germania vede nelle industrie cinesi un competitor non secondario alle sue posizioni consolidate in svariati settori ad alto valore aggiunto, dall’elettronica alla chimica; inoltre, il blocco della Merkel all’acquisto cinese della tedesca Kuka nel 2016 ha aperto il vaso di Pandora dell’assenza di reciprocitàtra sugli investimenti esteri; un ingresso al governo dei Verdi, in futuro, aumenterà la pressione per un maggiore impegno tedesco sui diritti umani. Parliamo di politiche complesse tra due delle maggiori potenze del pianeta. Angela Merkel deve fare chiarezza nel suo ultimo scorcio di mandato e dare linee guida chiare. Il rischio, se no, è che Berlino e Pechino finiscano per non capirsi più reciprocamente. La coesistanza di competizione e cooperazione è tipica del mondo globalizzato: sta ai due governi trovare un punto di equilibrio vantaggioso a entrambi.





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