L’inizio della guerra in Ucraina è coinciso con una scelta molto precisa da parte della Germania: lo stop alla certificazione del gasdotto Nord Stream 2, l’infrastruttura strategica più importante quella che avrebbe significato l’unione forse definitiva del gas russo all’Europa centrale. La mossa di Olaf Scholz, giunta dopo le enormi pressioni statunitensi per bloccare quella che era considerata la certificazione della dipendenza energetica europea (e in particolare tedesca) dai giacimenti russi, è stata una sorta di prova del nove della svolta Usa sui destini di Berlino. La Germania, che negli ultimi anni era stata ritenuta da diversi esperti una sorta di punto interrogativo rispetto all’agenda americana in Europa, aveva finalmente dato prova di allineamento rispetto all’Alleanza Atlantica e agli obiettivi imposti dal blocco occidentale. Uno di questi, ritenuto essenziale, era proprio lo sganciamento da Mosca sotto il profilo energetico, puntando su una diversificazione delle fonti che si sostanziava necessariamente nel taglio ai flussi.

Quando da Berlino arrivò il primo segnale di Scholz, il sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland, una delle personalità più influenti dell’amministrazione Usa, affermò in modo eloquente che il progetto del gasdotto Nord Stream 2 era “morto” e che molto probabilmente non sarebbe stato più “rianimato”. L’assoluta chiarezza con cui Nuland aveva parlato del Nord Stream 2 a febbraio faceva già capire che da parte di Washington non vi sarebbero stati ripensamenti. E che dunque non vi sarebbero stati nemmeno per Berlino, che da questa scelta ha fatto scaturire alcune decisioni di non poco conto che in qualche modo rinnegano una politica energetica profondamente ancorata al gas russo. La conferma da parte tedesca è arrivata anche in queste settimane con le parole del portavoce del governo tedesco, Steffen Hebestreit, il quale ha esplicitamente escluso che il cancelliere Scholz dia il via libera all’utilizzo del Nord Stream 2 “anche in caso di una situazione difficile nei prossimi mesi”.

Per la Germania si tratta di una questione di importanza capitale per due motivi. La saldatura con la Russia rappresentava infatti allo stesso tempo croce e delizia della politica tedesca degli ultimi anni. Si è creata nel tempo una evidente forma di dipendenza energetica da Mosca per cui oggi Scholz si trova a dover gestire non solo le pressioni internazionali, ma anche quelle interne e il rischio di rimanere incastrato dalle scelte di chi governa Mosca. Allo stesso modo, la forza dell’asse tra questi due Stati ha contribuito a fornire ai cancellieri tedeschi uno strumento politico per evitare di aderire in modo eccessivo alle dinamiche atlantiche. L’oro blu dei giacimenti russi rappresentava inevitabilmente quasi una garanzia di questo essere una potenza per definizione centrale e mai troppo legata al vento atlantista.

In tutto questo, chiaramente per la Germania c’è stato un ritorno politico ed economico dal voler essere l’hub energetico russo in Europa. Perché l’obiettivo di Berlino era quello di diventare la centrale in cui arrivava buona parte di questo tesoro di Mosca facendo poi defluire verso i propri clienti europei. L’utilità di questa posizione era ed è tuttora evidente anche nelle dinamiche politica continentali. Al punto che si può notare come la diversificazione delle fonti energetiche del Vecchio Continente sia stata per diverso tempo un tema di discussione tra le varie nazioni facenti parte dell’Unione europea nella consapevolezza che moltiplicare i corridoi di gas avrebbe rappresentato un rischio per chi era già hub e un investimento per i futuri possibili “competitor”. Un equilibrio di rotte energetiche in cui il Nord Stream 2 doveva essere la certificazione di una posizione tedesca di assoluto vantaggio e ormai data per definitiva.

Per capire come la potenza tedesca stia cambiando la propria essenza anche nella sua idea di hub rispetto agli altri Paesi europei è utile leggere Claudio Paudice su Huffington Post. Nell’analisi si legge che mentre la Russia prevede un rialzo dei suoi ricavi energetici legato all’aumento generale dei prezzi del gas nonostante il calo dell’export in Europa, la Germania è in forte sofferenza al punto che il costo dell’energia sta diventando insostenibile per famiglie e imprese e Uniper, che importa gas russo, è stato costretto al salvataggio da parte delle casse federali. La riduzione del flusso sulla linea del Nord Stream il gasdotto che doveva essere raddoppiato con il Nord Stream 2) è ormai una costante. E, spiega Paudice, l’allarme sul gas in Germania si riversa sugli altri Stati che ricevono l’oro blu dalle condutture tedesche.

Repubblica Ceca, Austria e Svizzera già registrano un brusco calo delle forniture, e questo allarme per l’inverno, con conseguente riempimento degli impianti di stoccaggio, rischia di far abbassare ulteriormente il volume distribuito ai Paesi limitrofi. Il presidente dell’Agenzia federale delle reti tedesca, Klaus Muller, ha già chiarito in queste ore che “non è previsto in tutti i nostri scenari” il riempimento medio degli impianti di stoccaggio al 95% entro il primo novembre e, come riporta Ansa, non c’è ottimismo nemmeno per il raggiungimento dell’obiettivo dell’85% a ottobre. Segnali che fanno intuire che il problema di accumulare gas possa diventare talmente urgente da ridurre ulteriormente i flussi verso altri Stati rinunciando, di fatto, all’essere ancora per qualche tempo un centro di smistamento dell’oro blu russo.

Questo, a lungo termine, può essere una costante che rischia di cambiare sensibilmente anche la percezione della Germania come potenza-chiave dell’Europa. Non essere più così necessaria nello scacchiere energetico europeo, con vecchi e nuovi flussi di gas che arrivano dal Nord Europa, dall’Africa settentrionale e dal Medio Oriente, oltre che l’arrivo delle gas naturale liquefatto in quantità sempre più grandi comporteranno inevitabilmente un declassamento di Berlino nella gerarchia dei Paesi utili come hub energetici, o quantomeno un livellamento di tutti gli Stati membri. Anche la ricerca di nuove fonti di energia, pur non immediata come la ricerca di nuovi esportatori di gas, rappresenta un ulteriore tassello di questa modifica del ruolo tedesco rispetto all’Unione europea e ai suoi tradizionali clienti. E questo serve a capire come la rottura del patto con la Russia non sia solo un problema strategico per Mosca, che si ritrova a dover gestire la fine di un rapporto consolidato e molto remunerativo costringendo a deviare i flussi, ma anche per la stessa Berlino. Quest’ultima porrò fine alla dipendenza dal gas russo, ma allo stesso tempo rischia di vedere anche la fine di un ruolo che le ha permesso di costruirsi una rete di partnership fondamentale per guidare (anche politicamente) il Vecchio Continente.





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