Tra l’Italia e la Commissione europea il dialogo sulla manovra finanziaria si è finalmente dispiegato e marcia spedito, stando alle dichiarazioni dei diretti interessati. Se il governo Conte ha certamente portato ai limiti lo scontro con Bruxelles, dagli esponenti della Commissione sono arrivati a più ripresi commenti ingiuriosi sull’esecutivo italiano e sulle sue politiche ed è stata prestata poca attenzione ai piani di riforma dei trattati presentati da Paolo Savona; il G20 di Buenos Aires ha inaugurato una nuova fase che dovrebbe portare alla negoziazione di un armistizio, nella cui mediazione deve essere necessariamente intervenuto un governo centrale per le dinamiche dell’Eurozona. E c’è più di un sospetto che un ruolo decisivo sia stato svolto dalla Germania.

A pensarci, sarebbe quasi incredibile. Berlino, la capitale che più ha guadagnato dal passaggio alla moneta unica e che per anni ha fatto della linea del rigore sui conti pubblici una vera e propria religione, accetta di venire a patti con i “populisti” italiani?





Dal punto di vista strategico, la mossa è tutt’altro che insensata. E, bisogna dirlo, non è certamente un atto di fraterna amicizia: Angela Merkel è profondamente indebolita politicamente, ma sa meglio di qualunque leader europeo che lo status di potenza della Germania è indissolubilmente legato al mantenimento degli attuali equilibri di potere in Europa, specie dopo il rapido tramonto dell’astro di Emmanuel Macron. E per evitare sussulti, è necessario disinnescare la bomba di una crisi politica tra Roma e Bruxelles che metterebbe a repentaglio gli equilibri politico-economici dell’Unione e il ruolo stesso della Germania, che vuole confermarsi nella posizione di condizionatore di ultima istanza della Commissione.

La Germania fa autocritica

E che Berlino abbia avuto un ruolo importante nel determinare la crisi dell’Eurozona, che l’ha avvantaggiata sotto il profilo geopolitico ma ha finito per minare gli equilibri politici tedeschi, è fatto oramai noto. Meno noto è il dibattito accesosi da diversi mesi in Germania sul futuro dell’euro e dell’Unione europea, che ha portato ad alti livelli accademici il discorso sul “piano B”, la strategia di risposta a un possibile collasso dell’Eurozona. La Germania è conscia che l’euro non rappresenti un dato di fatto irreversibile, ma in ogni caso vuole garantirsi tutti gli strumenti per potere eventualmente decidere a tempo debito il futuro del continente.

E per far ciò, è necessario capire quali siano le principali criticità dell’Eurozona. A tal proposito, vice capo missione della Repubblica Federale di Germania in Italia, Klemens Mömkes, ha riconosciuto le colpe del suo Paese in un discorso tenuto in occasione della cena di gala della quinta edizione di How can we govern Europe?, la due giorni di dibattito sull’Unione europea promossa da Eunews.

Secondo il diplomatico, scrive la testata, ” l’Italia è stata trascurata, e adesso il partner di una volta è stato perso. Il non ascoltare le ragioni dell’altro, ha portato un cambio di orientamenti che rischia di rimettere tutto in discussione”. “È vero che fino a un certo punto abbiamo trascurato l’Italia nel passato”, dichiara il diplomatico tedesco.

“La nostra visione era diretta a ovest, nord, est, Estremo oriente, Medio oriente, ma non al sud. Anche a questo riguardo, Brexit è stato un campanello d’allarme: abbiamo dato l’Italia per scontata”. Assicura che “questo è finito”, e che la disattenzione per lo Stivale non proseguirà. “Siamo disposti ad intensificare il dialogo e la cooperazione a tutti i livelli. L’Italia per noi conta, e conta molto”. Ancor di più: per l’assetto attuale della Germania, l’Italia è fondamentale.

Senza l’Italia crolla l’Europa tedesca

L’Italia che entrò nell’euro si incamminò su un terreno favorevole alla Germania, che con il combinato disposto tra svalutazione competitiva interna, mercantilismo e rigore monetario ha trasformato la moneta unica in uno strumento di potenza, acquisendo una leadership economica indiscussa a scapito delle sue principali concorrenti economiche, prima fra tutte proprio l’Italia.

“Questo processo”, ha scritto Limes“ha provocato la trasformazione della Germania da Paese esportatore a piattaforma industriale. Ovvero centro di distribuzione di fasi del processo i cui risultati vengono convogliati nel Paese centrale la cui industria è in gran parte dedicata all’assemblaggio”.

La catena del valore dell’Europa tedesca include buona parte dell’Europa orientale ma anche l’Italia settentrionale, che complice l’effetto delle politiche di distruzione della domanda interna avviate da Mario Monti negli ultimi anni ha fondato la sua ripresa industriale proprio sull’integrazione nello spazio economico tedesco”, la cosiddetta Kerneuropa.

Una crisi dell’Italia o una sua rottura con Bruxelles danneggerebbe notevolmente la Germania: “se il segmento italiano delle supply chains tedesche si disorganizzasse, questo creerebbe ulteriori problemi alla Germania, perché, data l’eccellenza tecnica italiana, uscirebbero parti del segmento difficilmente sostituibili”.

Un’arma a doppio taglio

La Germania ha in questa fase più bisogno dell’Italia di quanto l’Italia abbia bisogno della Germania. Del resto, Roma è necessaria a Berlino come sponda con gli Stati Uniti per negoziare una tregua commerciale osteggiata apertamente dalla Francia di Emmanuel Macron. E, come visto, la Germania potrebbe sponsorizzare le trattative tra Roma e Bruxelles come extrema ratio per prolungare l’esistenza dell’Europa tedesca. Salvandola, cioè, dai nuovi sacerdoti del rigore, dagli ottusi Juncker, Moscovici e Dombrovskis che in quanto a spessore non possono nemmeno lontanamente pareggiare Angela Merkel, anche sul viale del tramonto. 

La Merkel può non piacere, ma bisogna riconoscere alla Cancelliera un fiuto tattico non indifferente, specie nel momento di massima pressione politica.

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha con Merkel un ottimo rapporto personale, ma bisogna ben tenere presente che l’interesse nazionale italiano in Europa non coincide con quello tedesco. Anzi, la Germania potrebbe cercare sponde tattiche per celare la diversità del disegno strategico. L’Italia deve muoversi sulla linea tracciata da Savona, chiedendo un’Unione “diversa, più giusta, più equa” e opporsi a riforme che vedono, guarda caso, la Germania come proponente, prime fra tutte quella dell’Eurogruppo e quella sul Fondo Monetario Europeo.

Del resto, le dinamiche attuali dell’Eurozona ci confermano, una volta di più, come lo Stato nazionale sia, in maniera ancora più attiva che nel recente passato, il decisore strategico di ultima istanza. Anche chi parla di unità europea non può fare a meno di ragionare su schemi nazionali, e questo certamente non sarà sfuggito a una Germania abile, in passato, a sfruttare la narrazione di un sogno europeo funzionale al suo interesse particolare.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.