L’Agenzia Nova riporta che il ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer, è arrivata a Baghdad, dove nella giornata del 20 ha incontrato il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi. In agenda anche un colloquio con il capo dello Stato Barham Salih, il presidente del parlamento Salim al Jabouri e l’omologo alla Difesa Najah al Shammari.

Nell’agenda della visita del ministro tedesco c’è, oltre al miglioramento della cooperazione bilaterale per la ricostruzione dell’Iraq che vede la Germania tra gli sponsor principali, la visita a Erbil, nel Curdistan iracheno, per incontrare il contingente tedesco impegnato nella lotta al terrorismo nell’ambito della coalizione internazionale a guida statunitense.

La Germania, infatti, mantiene dal 2014 un piccolo contingente di 150 uomini in quel settore per appoggiare l’attività dei Peshmerga curdi nella lotta contro l’Is – quindi appoggiando il Kurdish Regional Government (Krg) – che hanno beneficiato sino ad oggi dell’arrivo di 2mila tonnellate di armi in più di 30 spedizioni che hanno incluso oltre 20mila fucili d’assalto, 8mila pistole e sistemi missilistici anticarro Milan ritenuti essenziali per difendersi dalle autobomba suicide dei terroristi islamici.

La missione tedesca in Iraq è stata al centro di una piccola crisi parlamentare a marzo del 2018, ma Berlino ha deciso di rifinanziarla con una modifica sostanziale: il contingente verrà diviso in due mantenendo la metà degli uomini a Erbil e l’altra metà a disposizione di Baghdad, e a breve vedremo il perché di questa scelta.

L’aquila tedesca nei cieli mediorientali

Prima di addentrarci nella questione irachene è bene dare un quadro generale della politica del Bundestag in Medio Oriente. La Germania, nelle ultime decadi ha sempre sostenuto la politica americana in Medio Oriente opponendosi solo raramente alle risoluzioni dell’Onu o della Nato che implicavano un intervento in aree di crisi come quella irachena.

Dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990, Berlino ha supportato la risoluzione numero 660 dell’Onu che condannava l’occupazione e la risoluzione 678 che autorizzava l’intervento militare per liberare il Kuwait dall’occupazione. In quel frangente la Germania si unì alla coalizione multinazionale inviando un contingente aereo in Turchia, alcuni dragamine nel Golfo e contribuendo alle spese di guerra per la cifra di 5,5 miliardi di dollari.

La Germania, però, non si schierò allo stesso modo durante la Seconda Guerra del Golfo, nel 2003, anzi, insieme a Francia e Russia, si oppose fermamente alla bozza di risoluzione proposta da Stati Uniti, Regno Unito e Spagna che autorizzava l’uso della forza. Berlino, invece, auspicò che gli ispettori Onu tornassero in Iraq per indagare sulla presunta presenza di armi di distruzione di massa, che, come sappiamo, poi si rivelò una montatura per fornire il casus belli a Washington.

Sebbene la bozza fu bocciata in seno all’Onu proprio grazie anche all’opposizione tedesca (la Germania era membro semi-permanente del Consiglio di Sicurezza), Berlino non fu capace di dissuadere Stati Uniti e Regno Unito dall’invasione; inoltre proprio in quell’occasione i rapporti tra i tre alleati si incrinarono per la prima volta dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale: incrinatura che è andata allargandosi nel corso del tempo.

Un punto fermo – anzi due – condiviso con Stati Uniti e Regno Unito però resta: ed è la questione della sicurezza dello Stato ebraico. Berlino ha, come Washington e Londra, l’obiettivo di preservare l’esistenza di Israele. A corollario di questa visione c’è anche l’obiettivo di sovvertire l’attuale regime di Damasco eliminando al-Assad che viene visto come fonte di instabilità nell’area a causa del possesso di armi di distruzione di massa.

Risulta però opposta rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, se pur riguardando lo stesso argomento, la posizione tedesca riguardo all’Iran: Berlino è stata parte attiva nella firma dell’accordo Jcpoa sul nucleare iraniano ed è rimasta, insieme alla Francia e marginalmente anche all’Italia, uno dei pochi Paesi europei ad essersi opposta apertamente all’attuale politica di scontro della Casa Bianca.

Questo atteggiamento “amichevole” verso Teheran è stato mal digerito dall’Arabia Saudita, rivale regionale dell’Iran, e di rimando la Germania, in occasione dell’omicidio Kashoggi a ottobre del 2018, ha sospeso tutte le esportazioni di armamenti verso il regno dei Saud. Le Germania, infatti, sebbene non sia impegnata in molti fronti caldi di Medio Oriente, Nord Africa e Asia come altri Paesi Nato tra cui l’Italia, resta uno dei principali fornitori di armamenti dei Paesi dell’area sebbene con un volume d’affari molto minore rispetto, ad esempio, alla Francia che resta uno dei maggiori.

I legami della Germania col Medio Oriente sono particolarmente stretti, come abbiamo accennato, con l’Iraq e non solo per la presenza del piccolo contingente militare: Berlino ha investito molto nel Paese avendo investito, dal 2014, circa 1,3 miliardi di euro ed essendosi impegnata attivamente, con le proprie imprese, nella ricostruzione delle reti elettriche, idriche e del sistema scolastico o sanitario mettendo in sicurezza le relative strutture.

La motivazione di questo interesse è presto detta e viene evidenziata proprio dalla decisione tedesca di stanziare parte delle proprie truppe a Erbil, nel cuore del Kurdistan iracheno: la maggior parte dei profughi iracheni (ma anche siriani) che sono fuggiti dall’Isis verso l’Europa sono in Germania e proprio la Germania, che ha una fortissima presenza di immigrati curdi, ha la necessità di rimpatriarli una volta che la situazione nei Paesi di origine si è andata normalizzando.

Pertanto in Iraq Berlino agisce quanto basta per permettere il rientro dei profughi (nell’aprile del 2018 le autorità tedesche hanno rimpatriato 10mila richiedenti asilo iracheni stabilendo due centri di ri-emigrazione ad Erbil e a Baghdad), in Siria, con l’intervento russo e quindi con la persistenza di Assad e la conseguente limitazione dell’agire degli Stati Uniti, non può mettere in pratica la medesima politica. In tutto questo pesa anche il problema dei foreign fighters tedeschi che, secondo alcune fonti, nel 2017 erano circa 900 e che aprono un caso umanitario (quando catturati) proprio con Baghdad.

La missione tedesca in Iraq, come ha affermato il ministro Kramp-Karrenbauer nel corso della visita in Giordania che ha preceduto il suo arrivo in Iraq, continuerà e le truppe resteranno a Erbil nonostante il rischio di indispettire Baghdad che ha più volte espresso preoccupazione per l’appoggio di Berlino ai Peshmerga. Appoggio che, oltre a generare malumori nel governo iracheno, ha rischiato anche di invischiare la Germania nella diatriba tra le due fazioni curde, quelle del Kdp (Kurdistan Democratic Party) e del Puk (Patriotic Union of Kurdistan). Berlino però ha una carta vincente da potersi giocare con Baghdad e sedare ogni malumore di sorta: sono proprio le decine di migliaia di profughi che ospita e che potrebbero riversarsi nel Paese d’origine.

Quest’arma rappresenta il bastone che si affianca alla carota della diplomazia: il Bundestag ha fatto sapere, in occasione del referendum per l’indipendenza curdo del 2017, che “la Germania, in accordo con la comunità internazionale tutta, si oppone formalmente al referendum di settembre 2017. Il governo tedesco considera indispensabile l’integrità territoriale dell’Iraq e rigetta ogni referendum unilaterale sull’indipendenza del Curdistan che non sia stato accordato col governo centrale di Baghdad”.

La Germania sta riuscendo, in quel settore, a destreggiarsi bene in una congiuntura storica particolarmente delicata viste le tensioni che sono andate esacerbandosi nel Golfo con l’Iran.

Proprio questa influenza sull’Iraq – e sul Curdistan – e l’opposizione alla politica statunitense verso l’Iran sono i fattori che indispettiscono Washington.

Il braccio di ferro tra Berlino e Washington

La “guerra” tra Berlino e Washington si è aperta ufficialmente con l’avvento di Trump alla Casa Bianca: oltre alla già citata questione iraniana che ha visto stracciare unilateralmente da parte americana – con un preciso intento – il trattato Jcpoa, oltre ai dazi che colpiscono l’importazione di acciaio e alluminio dall’Europa (quindi dalla Germania), stiamo assistendo ad un gelo diplomatico tra i due Paesi come mai si era visto prima.

Diversi sono i contrasti tra il Bundestag e la Casa Bianca e attualmente al centro della tempesta, più che il ridispiegamento di truppe Usa dalla Germania all’Europa dell’Est, c’è la questione dell’approvvigionamento energetico (il Nord Stream 2) e quella della mancata partecipazione tedesca alla coalizione multinazionale “anti Iran”.

La Germania sembra voler fare da sé ed in questo sembra essere spalleggiata dalla Francia ed allora Washington non perde l’occasione per mettere all’angolo Berlino: sia invitandola a schierare truppe in Siria, che come abbiamo visto è un possibile fronte di interesse comune, sia accusandola di non spendere abbastanza per la Difesa, o meglio, non spendere abbastanza soldi in armamenti americani preferendo altre soluzioni “europee” per non dire francotedesche come il caccia Fcas (Future Combat Air System).

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