Le ultime elezioni federali hanno decretato la fine dell’era Merkel, segnalando l’avvenire di un cambio paradigmatico nel mondo tedesco e gettando le basi per un processo di transizione. La terza cancelliera più longeva della storia tedesca, molto probabilmente, continuerà ad operare nel dietro le quinte del palcoscenico, contribuendo dove e come possibile alla stesura del copione degli attori, ma la sua carica influenzatrice andrà incontro ad un’inevitabile evaporazione.

La domanda è lecita: la nuova Germania scaturita dalle urne, più liberal che liberale e più atlantista che mai, quale valore darà ai vari beni ricevuti in eredità, a quei legati di un sedicennio di merkelismo? Rispondere è più che importante – è indispensabile –, perché ciò che accade a Berlino si ripercuote sul resto dell’Europa, da sempre, e perché tra i lasciti più significativi dell’era Merkel figura la conservazione, per quanto precaria, di quella realtà geopolitica e geofilosofica che è la GeRussia.

Quale Germania erediterà l’Ampelkoalition

Il merkelismo è stato la storia, e ha fatto la storia, della Germania e dell’Europa per quasi vent’anni. Nel nome di un Drang nach Osten 2.0, aspirazione geopolitica e sentimento geofilosofico inscritti nel dna del popolo tedesco, la Merkel ha aperto l’Europa all’Oriente, sebbene più in direzione di Shenzhen che di Vladivostok, camminando su dei carboni che negli ultimi dieci anni erano diventati ardenti.

Vincere sempre non è stato possibile, spesso e volentieri la Merkel è dovuta scendere a compromessi, ma ciò che andava assolutamente salvaguardato lo è stato. E così facendo, sacrificando il superfluo per tutelare l’essenziale, l’alma mater della vecchia Europa ha potuto proteggere il gasdotto del destino e della discordia, il Nord Stream 2, ha evitato a più riprese che il Donbass diventasse il casus belli di una guerra calda e reale con la Russia e ha mitigato i danni delle campagne di boicottaggio delle quinte colonne degli Stati Uniti nel continente, cioè Visegrad e Baltici.

Al merkelismo, in breve, va riconosciuto il merito di aver salvato l’Europa dal peggio, guidandola con saggezza e lungimiranza nel corso di un decennio quale quello appena trascorso, che è stato particolarmente intenso, ricco di ostacoli e pericoli. Avere consapevolezza dell’importanza sempiterna di uno dei capisaldi delle relazioni internazionali, quello del “Ricordati con chi confini” (Remember who you border with), non ha comunque reso il merkelismo un fenomeno invincibile e inerrante. Perché se è vero che il NS2 è sopravvissuto agli anni della massima pressione dell’amministrazione Trump, lo stesso non si può dire dell’idea di un’Europa estesa da Lisbona e Vladivostok, che vegeta nella tomba.

Fare meglio della Merkel sarebbe arduo per chiunque altro. Perché non va dimenticato che la terza cancelliera più longeva di Germania ha dovuto operare in un ambiente estremamente ostile, muovendosi con cautela per evitare di cadere vittima del fuoco incrociato dei rivali esterni – gli Stati Uniti e i loro fedelissimi – e dei franchi tiratori interni – la potente lobby atlantista di Berlino, oggi rappresentata dai Verdi, da Heiko Maas e Annegret Kramp-Karrenbauer.

Il fattore fuoco incrociato spiega perché la Merkel abbia tirato un sospiro di sollievo nel vedere la Kramp-Karrenbauer eliminata durante la corsa a Bellevue e i Verdi fare una prestazione sottotono alle ultime federali. Perché combattere e contenere l’espansione della lobby atlantista è l’unico modo che i merkelisti hanno per securizzare il sogno di una Germania nuovamente autonoma, e per guarirla dall’eunucoide condizione di egemonia a metà e potenza castrata, nell’attesa che giunga l’atteso redde rationem con gli Stati Uniti e tutti gli altri che agognano ad una nazione tedesca eternamente sottomessa e comatosa.

Le sfide della Germania post-Merkel

La coalizione semaforo (Ampelkoalition) eredita una Germania sul viale della rinascita e che anela all’autonomia strategica, ma sulla quale pesano come macigni la questione dell’ideologizzazione dell’agenda politica l’imperialismo morale dei Verdi come ostacolo alla realpolitik –, la perdurante condizione di potenza castrata – che inibisce ogni sforzo in direzione dell’emancipazione totale – e l’avvio verso il tramonto della generazione da cui provengono Merkel e Gerhard Schröder – le scuole di formazione tedesche hanno cessato di produrre diplomatici e politici affascinati dall’Ostpolitik, il presente ed il futuro è rappresentato dai paladini della Westpolitik come Maas, Kramp-Karrenbauer, Norbert Röttgen e Annalena Baerbock.

La Germania, in sintesi, va affollandosi di nuovi politici – più idealisti che realisti, e più atlantisti che filotedeschi –, che collaborano con Mosca più per questioni di affari che per reale volontà di dialogo – Gazprom continua ad essere il primo rifornitore di gas naturale dell’Ue (della quale ha soddisfatto il 40% del fabbisogno nel 2018) e il liquefatto statunitense potrà costituire un valido rimpiazzo soltanto, e forse, nel medio-lungo periodo – e che vorrebbero agire nelle relazioni internazionali ascoltando più l’impulso emotivo che l’interesse nazionale – favorendo (indirettamente?) i disegni egemonici altrui.

L’equilibrio su cui poggiano i rapporti tra Germania e Russia, in definitiva, è quanto mai fragile, come hanno dimostrato il caso Navalny, il protagonismo dell’Ue nel dossier Bielorussia e il sabotaggio dell’entrata dello Sputnik V nell’euromercato dei vaccini, ma un certo grado di resilienza, promanante dalla necessità di evitare una spaccatura completa che sarebbe estremamente nociva per entrambi, ha permesso che il NS2 vedesse la luce e che il ponte tra le due Europe non crollasse del tutto.

Questa resilienza continuerà a permanere nel tempo – ma come e quanto dipenderà dagli sviluppi che avranno luogo nella Casa Bianca, nel mondo politico tedesco e all’Eliseo – poiché è il frutto di una lunga tradizione di interrelazione quasi-simbiotica maturata negli anni di von Bismarck, estesasi sotto gli occhi impauriti di Sir Halford Mackinder e mai del tutto morta neanche durante il periodo interguerra e la Guerra fredda.

Lo scenario, ad ogni modo, non è irrimediabilmente cupo: la storia insegna quanto le relazioni internazionali siano imprevedibili, poiché non deterministiche, e che un’alleanza al tempo uno potrebbe diventare una rivalità al tempo due. Ed è in questo contesto che entra in gioco il fattore Parigi. Il potere di condizionamento dell’Eliseo su Bellevue è aumentato significativamente negli anni recenti, e se Emmanuel Macron sarà in grado di superare la prova della storia, ottenendo di essere rieletto e/o di trasmettere alla posterità la propria visione nel mondo, aumenteranno le probabilità di una prosecuzione della Ostpolitik da parte tedesca.

Le relazioni russo-tedesche, in conclusione, continueranno ad essere contraddistinte da una maggiore volatilità sino alla fine dell’anno, anche per via degli influssi negativi esercitati dal fattore Biden, ed un pronostico realistico dei loro futuri sviluppi sarà possibile soltanto in presenza di un nome. Il nome di colui o colei che erediterà lo scettro della Merkel.

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