Il 2021 sarà l’anno della svolta per la Germania, locomotiva d’Europa, colonna portante del cosiddetto mondo libero e quarta economia del globo. Il prossimo 26 settembre il popolo tedesco sarà chiamato alle urne per decidere a chi passerà lo scettro di Angela Merkel, cancelliere più longevo di Germania dopo Otto von Bismarck ed Helmut Kohl.

Tentare di capire che cosa potrebbe accadere nel dopo-Merkel è fondamentale per una ragione molto semplice: tutto quello che succede e si decide a Berlino, e fra Berlino e Parigi, si riflette e ripercuote sia sul Vecchio Continente che su Russia e cosiddetta Europa allargata, estesa dalla Bielorussia al Mediterraneo orientale.

Germania e Russia oggi

I tempi della Ostpolitik di Gerhard Schröder sono sempre più lontani, il loro ricordo sta sbiadendo, e l’era Merkel potrebbe aver gettato le fondamenta per una trasformazione duratura della Germania come ideale e nazione: etica al di sopra degli affari (ma fino a un certo punto), cosmopolitismo liberale in luogo dell’identitarismo conservatore, Europa come appendice inamovibile degli Stati Uniti, e Russia come stato-civiltà ostile, estraneo e da trattare con durezza.

La Merkel aveva un’eredità da cui attingere, frutto dell’operato di Kohl e Schröder, ma ha prevalso infine il potere frenante ed inibitore derivante dalla maledizione dell’egemonia imperfetta: la Germania, sino a quando non avverrà l’emancipazione dalla condizione-trappola di “potenza castrata”, continuerà ad autocondannarsi alla semi-autonomia negli affari esteri, accettando di adeguare e conformare la propria agenda estera a quella degli Stati Uniti.

L’evento spartiacque dell’era Merkel è stato Euromaidan, la rivoluzione colorata che ha provocato la più grave frattura nella storia del mondo russo (Russkij Mir) e riacceso ufficialmente le ostilità mai del tutto sopite fra l’Occidente e il Cremlino. I fatti sono stati abilmente sfruttati dalla seconda amministrazione Obama per dare il via al disaccoppiamento economico (regime sanzionatorio) ed energetico (South Stream) dell’Ue dalla Russia, accolto pedissequamente dalla Germania nell’aspettativa che ciò avrebbe comportato la fine della “guerra sotterranea” degli Stati Uniti all’egemonia commerciale tedesca.

Cambiata la presidenza, non è mutato il registro: Donald Trump ha elevato l’intensità dello scontro con Berlino, facendo leva sull’euroscetticismo per indebolirne la primazia continentale e “polonizzando” l’architettura di sicurezza euroatlantica. Le reazioni della Merkel, espressione di quella condizione di potenza castrata summenzionata, basate sull’allineamento totale dell’agenda estera tedesca a quella statunitense, dal Venezuela all’Iran, non le hanno permesso di evitare l’inevitabile: lo spostamento dei riflettori della Casa Bianca sul Nord Stream 2.

Chiunque succederà al terzo cancelliere più longevo di Germania, non raccoglierà dalla semina dell’Ostpolitik di Kohl e Schröder ma dalla Westpolitik della Merkel, che ha condotto alla progressiva stranierizzazione della politica nazionale, oggi più che mai esposta alle pressioni e alle interferenze provenienti da oltreoceano e meno che mai disposta a credere in, e lavorare per, un’Europa estesa da Lisbona a Vladivostok e con capitale Berlino.

Messaggi da Heiko Maas

Negli ultimi due anni è aumentata in maniera crescente l’influenza esercitata sulla presidenza dal “duo del Saarland”: Heiko Maas, titolare del Ministero degli Esteri, e Annegret Kramp-Karrenbauer, a capo del Ministero della Difesa. I due, guidati da una ferrea lealtà all’atlantismo, hanno svolto un ruolo determinante nello spronare la Merkel ad adottare un atteggiamento maggiormente rigido nei confronti di Hezbollah, Cina e Russia.

Maas, in particolare, può essere considerato l’equivalente tedesco di Joseph Biden in termini di formazione ed appartenenza ideologica: nato, cresciuto e plasmato dalla scuola dell’internazionalismo liberale, fermamente convinto che il futuro dell’Ue non sia l’autonomia strategica macroniana ma una simbiosi integrale con gli Stati Uniti e indubbiamente più propenso della Merkel a legare affari, politica ed etica, come ha dimostrato nei suoi interventi su Xinjiang, Arabia Saudita, Russia e Thailandia, e proponendo recentemente un “piano Marshall” per salvare le democrazie liberali.

Pur essendo uno dei principali responsabili del deterioramento (ulteriore) delle relazioni bilaterali fra Russia e Germania, come evidenziato dal suo protagonismo nel corso del caso Navalny (sua la proposta di introdurre sanzioni mirate come rappresaglia per il presunto avvelenamento), Maas è e resta un statista pragmatico che, fedeltà all’atlantismo a parte, risponde al cancellierato. In assenza del quadro completo, non si potrebbe comprendere altrimenti l’inamovibilità di Maas sulla questione Nord Stream 2, la cui realizzazione è un imperativo strategico di Berlino in quanto fonte di sicurezza energetica.

Come sarà il dopo-Merkel?

La generazione da cui provengono Merkel e Schröder è avviata saldamente verso il tramonto, e non soltanto per ragioni anagrafiche. Le scuole di formazione tedesche hanno cessato di produrre diplomatici e politici affascinati dall’Ostpolitik, il presente ed il futuro è rappresentato dai paladini della Westpolitik come Maas, Kramp-Karrenbauer, Norbert Röttgen e Ursula von der Leyen.

Il Nord Stream 2 continua ad essere un tabù per ciascuno dei suscritti, ma l’intoccabilità non è data dalla volontà di ricucire le relazioni con Mosca; è una semplice questione di affari e mancanza di alternative. La Russia, infatti, è il primo rifornitore di gas naturale dell’Ue – della quale ha soddisfatto il 40% del fabbisogno nel 2018 – e il liquefatto degli Stati Uniti potrà sostituire la Gazprom soltanto, e forse, nel medio-lungo periodo. Fino a quel momento, Berlino continuerà ad avere bisogno di Mosca, ragion per cui, pur piegandosi ai dettami di Washington, cercherà al tempo stesso di evitare una rottura totale attraverso iniziative tese a mantenere vivo il dialogo fra le stanze dei bottoni – la recente telefonata fra Merkel e Vladimir Putin è eloquente a questo riguardo.

In definitiva, l’equilibrio su cui poggiano i rapporti fra Germania e Russia è quanto mai fragile, come hanno dimostrato il caso Navalny e il protagonismo dell’Ue nel dossier Bielorussia, ma un certo grado di resilienza, promanante dalla suscritta necessità di evitare una spaccatura completa che sarebbe estremamente nociva per entrambi, ha permesso che il Nord Stream 2 sopravvivesse all’eccezionale campagna di massima pressione montata dall’uscente amministrazione Trump e dai suoi alleati europei, in primis la Polonia.

Questa resilienza continuerà a permanere nel tempo – ma come e quanto dipenderà dagli sviluppi che avranno luogo nella Casa Bianca, nel mondo politico tedesco e a Parigi – poiché è il frutto di una lunga tradizione di interrelazione quasi-simbiotica maturata negli anni di von Bismarck, estesasi sotto gli occhi impauriti di Sir Halford Mackinder e mai del tutto morta neanche durante il periodo interguerra e la guerra fredda.

Lo scenario, però, non è irrimediabilmente cupo: la storia insegna quanto le relazioni internazionali siano imprevedibili, poiché non-deterministiche, e che un’alleanza al tempo uno potrebbe diventare una rivalità al tempo due. Ed è in questo contesto che entra in gioco il fattore Parigi. Il potere di condizionamento dell’Eliseo su Berlino è aumentato significativamente negli anni recenti, e se Emmanuel Macron sarà in grado di superare la prova della storia, ottenendo di essere rieletto e/o di trasmettere alla posterità la propria visione nel mondo, aumenteranno le probabilità di un ritorno alla Ostpolitik da parte tedesca.

Le relazioni russo-tedesche, ad ogni modo, continueranno ad essere dominate dalla volatilità nel corso del 2021, anche per via dell’entrata in scena del fattore Biden, ed un pronostico realistico dei loro futuri sviluppi sarà possibile soltanto dopo il 26 settembre, il giorno in cui avverrà il passaggio dello scettro di Angela Merkel.





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