La fase della scrittura della legge di bilancio è da tempo la più critica per qualsiasi esecutivo italiano, specie per l’attuale che si trova sotto osservazione speciale da parte delle istituzioni politiche e finanziarie dell’Unione europea. Lega, M5S e ministri “terzi” duellano sul deficit, sulle scelte di politica economica, sui decimali, ma il punto centrale è che nel discorso economico non è prioritaria, come dovrebbe essere nella prassi di un governo che si autodefinisce “di cambiamento” e nella logica di una politica coraggiosa, una focalizzazione sugli obiettivi, i traguardi di crescita auspicati, come consigliato da un acuto osservatore come Giorgio La Malfa, bensì la fa da padrone l’oramai noto discorso sui vincoli.

Su quelle regole che l’Italia si troverebbe costretta a dover seguire per correggere dei suoi vizi atavici: prima fra tutte la soglia, religiosa prima ancora che politica, del 3% nel rapporto deficit/Pil. Il discorso sulla responsabilità, sulla necessità di adattarsi alle regole scritte nei trattati europei e sulla tendenza italiana a dover necessariamente usufruire del “vincolo esterno” per adattarsi ad esse ritorna, con costanza, nella pubblicistica italiana. Vogliamo, in questo contesto, proporre una visione più ordinata e chiara di queste dinamiche: anziché essere accusati dalle regole, osservare i loro problemi e capire che per l’Italia è vitale spingere per dei cambiamenti e, al tempo stesso, ricordare come esse siano funzionali, principalmente, a un ben noto partner europeo dell’Italia, la Germania. Che in molti campi è tutto fuorché virtuosa.





La Germania che non rispetta le regole

Giunge come una boccata d’aria fresca nella pubblicistica economica il recente saggio dell’economista Sergio Cesaratto, Chi non rispetta le regole, che indaga in maniera precisa le doppie morali insite nella costruzione europea e nell’approccio rigoroso all’economia mainstream.

Cesaratto, è bene premetterlo, non nega i limiti insiti nel “sistema Paese” Italia, primo fra tutti la scarsità di capitale sociale, ma denuncia con forza il fatto che la Germania abbia, per anni, predicato nei consessi europei il rigoroso rispetto dei vincoli di bilancio, i tagli alla spesa pubblica e le politiche di austerità, ma al tempo stesso abbia costruito un modello economico fondato sulle esportazioni “incompatibile con le regole del gioco […] fondamentalmente basato sulla trasgressione” dei principi fondanti dell’Unione.

Perno della critica di Cesaratto è l’impostazione della politica commerciale tedesca e il suo “mercantilismo monetario“. La Germania e gli altri Paesi in forte surplus commerciale, come l’Olanda, “hanno approfittato dell’indebitamento e delle importazioni dai Paesi periferici per accrescere le proprie esportazioni e […] ora violano la regola del gioco fondamentale di aiutare il riequilibrio all’interno dell’unione monetaria espandendo la propria domanda interna”.

Prima critica del quantitative easing, la Germania ne ha approfittato indirettamente sfruttando il conseguente deprezzamento dell’euro per rafforzare la propria bilancia commerciale. Tutto questo mentre alla Grecia veniva imposta una vera e propria ordalia del fuoco mentre, combinando “una crescita della produttività alla francese e una dei salari all’italiana” Berlino costruiva un enorme divario di competitività con il resto d’Europa.

La pretesa superiorità morale della Germania

I tedeschi, dal canto loro, vivono in perfetta armonia con regole che sembrano cucite su misura per il sistema economico della Germania contemporanea. L’Unione europea implica, di fatto, lo Stato minimo, la riduzione dei servizi sociali, un’impostazione neoliberista della politica economica e la crisi dell’euro del 2010-11 ha imposto una flight to quality verso titoli pubblici e obbligazionari tedeschi, rafforzando il posizionamento della Germania nei saldi del Target2.

Nietzsche scriveva che “il genio tedesco mescola, media, imbroglia e moralizza”. E Nietzsche, segnala Marcello Foa, “era un filosofo e il suo giudizio era tagliente, ma analizzando il comportamento della classe dirigente di Berlino negli ultimi trent’anni, incluso ovviamente il periodo della moneta unica, vien da pensare che forse quell’aforisma, seppur provocatorio, indicasse la tendenza delle élite tedesche a considerare un solo giudizio valoriale: quello del proprio interesse, ostentatamente e fastidiosamente ammantato di moralismo”.

Moralismo che a più riprese non è mancato nei giudizi dati da politici, economisti e media tedeschi ai Paesi raggruppati in maniera sferzante e denigratoria nel gruppo dei “Piigs”. E che invece ha dovuto battere in ritirata quando è stata la Germania a essere accusata per l’appoggio dato a politiche economiche eccessivamente punitive o per le durissime inadempienze finanziarie di uno dei suoi principali istituti, Deutsche Bank.

Cesaratto, senza denigrare la Germania o idealizzarla negativamente, fa un ritratto ampio e convincente delle sue contraddizioni, utili da capire per comprendere l’ampiezza delle problematiche dell’Eurozona.

Che spazio di azione c’è per l’Italia?

In passato, tra i più grandi critici della Germania e delle sue politiche si è messo in luce il professor Paolo Savona, che nel 2012 ricordava come la Germania stesse “attuando la sostanza del Piano economico avanzato nel 1936 da Walter Funk, il ministro dell’economia nazista, il quale prevedeva che la Germania divenisse il ‘Paese d’ordine’ in Europa, che il suo sviluppo fosse prevalentemente industriale, con qualche concessione per l’alleato storico, la Francia, e che gli altri paesi europei si concentrassero nella produzione agricola e svolgessero funzioni di serbatoio di lavoro; infine che le monete europee confluissero nell’area del marco, per seguirne le regole”.

Secondo Antonio Maria Rinaldi, “il concetto di “moneta generale” espresso da Funk, si sposa perfettamente con l’idea della creazione di una area valutaria da imporre al Continente con funzione aggregatrice per effetto della forza delle regole poste a suo supporto”.

Allo stato attuale delle cose, da Ministro per gli Affari Europei del governo Conte, Savona ha presentato di recente la sua prima proposta per riformare l’Unione e le sue istituzioni costruendo un’Europa “diversa, più equa, più forte”. 

Savona, spiega Milano Finanza, chiede di “istituire un Gruppo di lavoro ad alto livello, composto dai rappresentanti degli Stati membri, del Parlamento e della Commissione, che esamini la rispondenza dell’architettura istituzionale europea vigente e della politica economica con gli obiettivi di crescita nella stabilità e di piena occupazione”, rompendo la gabbia del vincolo del rapporto deficit/Pil e trasformando la Bce in un prestatore di ultima istanza, che abbia il potere illimitato di garantire il debito delle nazioni, evitando differenziali del costo del debito tra Paesi che condividono la stessa valuta (spread).

L’idea di fare dell’Europa una politeia (comunità) e non un progetto meramente economicista appare ambiziosa e andrebbe nell’interesse dell’Italia, perché indirizzerebbe le regole comunitarie verso una reale riformulazione democratica. Difficile che a Berlino possano gradire e dare luce verde al piano di Savona. Ma libri come quello di Cesaratto ci insegnano che dietro ogni volontà di preservazione dello status quo ci sono interessi ben individuabili e facenti capo alla Germania. Spiace vedere certe correnti di pensiero predominanti anche in un Paese come l’Italia che senza cambiamenti sostanziali continuerà a dibattersi nelle difficoltà.

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