La Francia torna al voto per il secondo round della sua tornata elettorale: il primo turno dell’elezione parlamentare che rinnoverà, tra il primo e il secondo turno previsto per domenica prossima, i 577 membri dell’Assemblea Nazionale. Rieletto per la seconda volta dopo aver sconfitto al ballottaggio Marine Le Pen, il presidente Emmanuel Macron è atteso da una dura sfida per consolidare l’obiettivo che negli ultimi vent’anni, da quando il mandato presidenziale è giunto a coincidere col voto per le legislative, nessun presidente ha mai fallito: assicurarsi una maggioranza parlamentare solida a sostegno.

Non sarà facile: il voto per il primo turno dell’elezione presidenziale ha fotografato un Paese diviso in tre blocchi. Macron è riuscito a primeggiare forte della sua capacità di orientare gradualmente verso la destra moderata la sua coalizione centrista imperniata sul suo partito La Republique En Marche!, oggi rinominato Renaissance e perno di Ensemble (“Insieme”), la coalizione estesa a una serie di formazioni moderate e liberali con cui l’inquilino dell’Eliseo vuole consolidare la maggioranza presidenziale. Al voto Macron ha cannibalizzato i consensi dei gollisti, con i Republicains precipitati ai minimi storici con Valerie Pécresse mentre la destra frammentata ha visto Marine Le Pen essere nuovamente la forza trainante del secondo polo, lasciando ai margini il tribuno Eric Zemmour. Ma la vera sfida in vista delle legislative per Macron viene dal terzo polo, quello di Sinistra di Jean-Luc Mélenchon, terzo al primo turno dopo una rimonta considerevole.

La France Insoumise, il partito di sinistra di Mélenchon, è il perno della Nuova unione popolare ecologica e sociale (Nupes), che ha ottenuto l’alleanza con il mondo progressista: Verdi, Comunisti e, soprattutto, il Partito Socialista ridotto a “cespuglio” alle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, la Nupes è la vera minaccia politica per la maggioranza presidenziale, scesa in queste ultime ore al limite della soglia per preservare la maggioranza assoluta nei due turni. Mélenchon vuole imporre a Macron la coabitazione, la Le Pen punta a una sessantina di deputati per poter avere tutti i poteri di un gruppo di opposizione, come la possibilità di ricorrere alla Corte Costituzionale.

La tripartizione politica è un riflesso della divisione sociale e geografica del voto. Tripartizione che sistematizza una serie di grandi divisioni: centro contro periferia, regioni dell’interno contro Parigi, classi ancorate alla globalizzazione e ai trend del futuro sviluppo contro “sconfitti” del modello vigente, abitanti dei quartieri più sviluppati delle città contro abitanti delle periferie. Faglie e microfaglie che si possono riassumere in una vera e propria stratificazione: i lepenisti sono forti nel Nord-Est e nel Sud dove maggiori sono le contraddizioni su diverse dinamiche (dalla gestione dell’immigrazione alle disuguaglianze economiche); a livello di classi sociali il voto delle fasce popolari e operaie è ormai di loro pertinenza.

Mélenchon e la sinistra vanno a gonfie vele nei quartieri popolari delle grandi città, soprattutto tra studenti e giovani di classe media. Un elettorato in cui si uniscono esponenti della sinistra tradizionale attratti dal trittico formato da ambientalismo, diritti civili e prospettive economiche di rilancio ad elettori non ideologizzati ma preoccupati da carovita, inflazione e scollamento tra centro e periferie desiderosi di criticare Macron senza favorire la destra radicale. Alle presidenziali nelle città sopra i 100mila abitanti Mélenchon ha vinto in 22 casi su 42, Macron in 18 e Le Pen solo in 2 e con l’alleanza con i Verdi mira a consolidarsi nelle città da loro amministrate nel Rodano – dipartimento del sindaco di Lione, Grègory Doucet – in Isère, dove Eric Piolle è alla guida di Grenoble, e in Gironda, dove Pierre Hurmic amministra Bordeaux

Macron è invece l’uomo della metropoli ma anche il candidato trasversale della classe media professionale e degli over 50 di tutto il Paese. Mai sotto alla fascia 22-25% dei consensi in tutti i dipartimenti, debole solo nelle periferie esistenziali diI Francia, il presidente ha ormai un elettorato di riferimento frutto della convergenza dei moderati di centro-sinistra e, soprattutto, di centro-destra.

Tutto questo presenta dunque un quadro politico frastagliato in cui per il Presidente sarà difficile, se non impossibile, confermare la schiacciante vittoria di cinque anni fa, quando la maggioranza presidenziale conquistò 350 seggi su 577. Ma per il presidente e la Francia non potrebbe necessariamente essere un problema. Né lo potrebbe essere un caso di coabitazione dettato da un successo relativo delle opposizioni: in questo caso, per la Francia, si tratterebbe del ritorno a una dinamica parlamentare complessa ma istituzionalizzata. Il maggior punto di consolidamento del macronismo, forza dirompente entrata come stabilizzatrice della politica francese dopo il tracollo dei partiti tradizionali, è stata negli anni la sua debolezza: l’atteggiamento spesso distaccato, “gioviano” di Macron, il distacco dall’Assemblea Nazionale da lui dominata e dal Paese reale hanno fatto sì che la vera opposizione si trasferisse nelle piazze. Gilet gialli, sindacati, studenti e collettivi hanno, per tre anni, incendiato il Paese prima che il Covid non facesse esplodere, una volta di più, le contraddizioni.

Forze come La France Insoumise e il Rassemblement National hanno tratto forza da questi movimenti non avendo la rappresentanza parlamentare per contrastare i macroniani a causa del sistema iper-maggioritario con cui sono assegnati i seggi, sulla base dell’uninominale a doppio turno in ogni circoscrizione.

La presenza di una folta e nutrita schiera di parlamentari di opposizione può, in un certo senso, dare nuova linfa alla democrazia francese. Spostando il confronto, serrato, di idee dalla piazza ai palazzi. Umanizzando ulteriormente il Presidente. Aiutandolo, in ultima istanza, a capire in tempo i punti deboli della sua agenda. Queste elezioni parlamentari sono viste con timore in Europa per via dell’ipotesi che un Macron “anatra zoppa” sia più debole come mediatore o risolutore nella crisi ucraina. Ma in realtà possono essere un test di salute per la democrazia francese. Da tempo in una fase di affanno che anno dopo anno appare sempre più esplicito.

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