Come volevasi dimostrare, verrebbe da dire. Lo scorso 10 gennaio la commissione elettorale di Kinshasa certifica i risultati delle elezioni tenute il 30 dicembre 2018. Le consultazioni in Congo premiano uno dei leader dell’opposizione, ma in tanti parlano di un accordo in realtà premeditato tra il presidente uscente Joseph Kabila ed il vincitore Felix Tshisekedi. Alla vigilia quest’ultimo è ritenuto tra gli oppositori del suo predecessore, secondo i suoi detrattori viene lasciato vincere per dare una parvenza di normalità al voto ed evitare l’arrivo al potere di un altro candidato, ossia quel Martin Fayulu giunto secondo nella corsa presidenziale.
Sospetti brogli dunque, con una vittoria dell’opposizione pilotata per placare possibili animi turbolenti post voto e per garantire a Kabila, al potere ininterrottamente dal 2001, ancora una forte presa sul potere. Nei giorni scorsi, in occasione dell’avvio delle consultazioni per formare il nuovo governo, quei sospetti vengono rilanciati con maggior vigore.
L’accordo per il nuovo esecutivo tra Tshisekedi e Kabila
Il nuovo presidente vince le consultazioni ottenendo ufficialmente il 38%, a fronte del 34% del suo più immediato inseguitore Fayulu. Ancora più staccato il delfino di Kabila, il candidato ufficiale dell’entourage congolese, Emmanuel Ramazani Shadary. Ma a livello parlamentare, il quadro in Congo appare radicalmente diverso: l’Fcc, il partito di Kabila, domina l’assemblea parlamentare conquistando qualcosa come 342 seggi su 485. Cach, il partito del nuovo presidente, ottiene invece solo 50 scranni nella nuova legislatura. Ecco perché nella giornata dello scorso mercoledì, viene annunciato un accordo tra le due formazioni politiche.
Kabila e Tshisekedi siglano infatti un patto per la formazione del nuovo esecutivo. Una sorta di condivisione del potere, che rafforza certamente le voci su un possibile accordo pre elettorale tra presidente uscente ed ufficiale oppositore divenuto poi nuovo capo dello Stato. Una sorta di staffetta segreta, volta come detto a placare gli animi ed a frenare l’avanzata del nemico comune individuato in Fayulu. Nel comunicato lanciato in comune dai due partiti, si parla di un accordo che nelle prossime settimane potrebbe facilitare enormemente la formazione di un nuovo esecutivo.
La Francia storce il naso
La Repubblica Democratica del Congo è erede del Congo Belga, Kinshasa fa dunque parte di quella parte d’Africa colonizzata dai belgi nel diciannovesimo secolo. Pur tuttavia, lo status di lingua ufficiale del francese pone questo paese all’interno della zona francofona del continente nero e dunque Parigi esercita un’influenza non indifferente.
Il candidato più vicino all’Eliseo risulta essere Martin Fayulu, vero sconfitto del voto di dicembre. Uomo d’affari impegnato soprattutto nel settore della commercializzazione del petrolio, lo sfidante più deluso delle ultime presidenziali ha fama di amico personale di Macron e di profondo conoscitore del mondo politico ed imprenditoriale francese.
Non a caso, già all’indomani dell’ufficialità della vittoria di Tshisekedi, dall’Eliseo arrivano reazioni stizzite: si parla di brogli e sono uomini vicini al governo francese a lanciare per primi il sospetto dell’accordo segreto tra il nuovo presidente e Kabila.
Il copione, all’indomani dell’accordo tra Fcc e Cach, si ripete. Da Parigi arrivano inviti rivolti a Tshisekedi in cui si chiede di includere anche il partito di Fayulu nella formazione del nuovo governo. L’appello viene effettuato dallo stesso Emmanuel Macron, in visita nei giorni scorsi a Nairobi. Il presidente francese incontra personalmente il suo omologo congolese, è proprio in questa occasione che il capo dell’Eliseo chiede anche pubblicamente di coinvolgere Fayulu.
A Parigi la vittoria di Tshisekedi non va giù, tramontata l’idea di spingere lo sconfitto verso ricorsi e riconteggi, adesso il governo francese prova quanto meno a piazzare uomini di Fayulu dentro il futuro governo. Risorse, tra petrolio, diamanti, legno e tanto altro ancora, così come la necessità di non perdere il contatto con i paesi tradizionalmente sotto l’orbita dell’Eliseo, spingono Macron e la Francia a non rinunciare alle proprie velleità politiche su Kinshasa.