Le prime mosse compiute da Emmanuel Macron dopo il suo insediamento all’Eliseo hanno portato alla manifestazione della smisurata ambizione del nuovo Presidente francese, accusato da molti commentatori di una vera e propria “deriva bonapartista”, e di una serie di prese di posizione che hanno qualificato un importante dato di fatto: la Francia guidata dal fondatore de La Republique En Marche! è destinata a contraddistinguersi come un importante rivale dell’Italia in campo economico, nel terreno politico europeo e, sotto il profilo strategico, negli scenari geopolitici mediterranei.
Emmanuel Macron ha completato la sua fulminea scalata al potere favorito dalla convergenza sulla sua persona dei favori di buona parte del sistema economico francese e del mondo mediatico occidentale: la presentazione di un figlio dell’establishment come homo novus è stata accompagnata da una tronfia retorica che in Macron indicava il paladino dell’Europa assediata dalla presunta “minaccia populista”. A questa retorica, numerosi commentatori italiani di chiara fama hanno voluto apportare il loro contributo, dimenticando palesemente come la traiettoria geopolitica della Francia e le inclinazioni personali di Macron convergevano nella direzione dello scontro frontale tra Parigi e Roma. Macron ha ben chiaro, rispetto al suo predecessore Sarkozy e Hollande, di dover sviluppare una politica estera attiva e assertiva: egli non dimentica la proiezione mediterranea della Francia, che immagina protagonista nella regione, ma agogna a garantire a Parigi un livello di influenza simile a quello irradiato dalla Germania.
Per fare ciò, Parigi risulta spinta ad erodere i limitati spazi d’azione in campo geopolitico del nostro Paese: non a caso, a inizio giugno, Macron ha assestato il simbolico “schiaffo di Saint-Nazaire”, bloccando l’acquisizione dei cantieri di STX France da parte dell’italiana Fincantieri, ma si è sempre ben guardato dal disincentivare la contemporanea penetrazione dei capitali d’Oltralpe nel nostro Paese. La notoria vicinanza tra Macron e la famiglia Bolloré, segnalata nel mese di maggio da Ugo Bertone su Libero, potrebbe trasformarsi in maniera celere in un attivo appoggio alle manovre di Vivendi in terra italiana: la società di Vincent Bolloré, infatti, dopo aver acquisito importanti partecipazioni in Mediobanca e in Assicurazioni Generali punta da tempo, come noto, a completare la scalata a Mediaset, completando un processo di acquisizione francese di marchi storici nazionali che procede da circa quindici anni e ha già interessato società come Parmalat, Bulgari, Galbani, Pomellato e Passoni & Villa.
Dall’economia alla geopolitica il passo è breve e, anzi, nell’intreccio di interessi che anima lo scenario mediterraneo, l’ostilità macroniana nei confronti dell’Italia si manifesta in entrambi i campi se si prendono in considerazione le più recenti mosse francesi in Libia. Organizzando per il 25 luglio un vertice a Parigi alla presenza dei due leader libici Al Sarraj e Haftar Macron ha scoperto le sue carte: inserendosi a passo di carica nel teatro libico, Parigi punta a erodere l’influenza dell’Italia nel Paese e a completare il lavoro iniziato sei anni fa, con la fallimentare guerra al regime di Gheddafi che segnò l’inizio dell’interminabile crisi libica. Come scritto da Francesco Semprini su La Stampa, Macron vuole rilanciare l’attivismo francese nel Paese maghrebinoi per assicurarsi, in futuro una “golden share nella Libia del futuro, nei suoi asset sotto embargo e soprattutto nel suo petrolio. Forte anche del ruolo dicotomico, o meglio ambiguo, svolto dalla Francia. Nella doppia veste di membro dell’Unione Europea e quindi sostenitore del Consiglio presidenziale guidato da Sarraj e al contempo di interlocutore privilegiato in Occidente di Haftar”. Scalzando l’Italia e i suoi attori economici impiegati in Libia, prima fra tutti l’ENI, la Francia potrebbe accaparrarsi, indirettamente, il controllo sulle importantissime esportazioni di gas e petrolio provenienti dalla Libia: in particolare, la riconquista, da parte delle forze di Haftar, dell’importantissimo terminal di Ras Lanuf nello scorso mese di marzo rischia di pregiudicare l’interesse italiano e le mosse dell’ENI nell’area della Sirte qualora il leader di Bengasi decidesse, in futuro, di privilegiare gli stretti interlocutori francesi.
Per finire, la netta chiusura di Macron alla solidarietà nei confronti dell’Italia per l’arginamento dell’emergenza migratoria ha testimoniato come la ripercussione del disegno mediterraneo della Francia sia destinata a riproporsi in ambito europeo: contribuendo a isolare, di fatto, l’Italia dall’Area Schenghen, Parigi ha al tempo stesso scaricato su Roma l’onere di fungere da frangiflutti per gli sbarchi nei mesi a venire, rifiutandosi decisamente di assumere qualsivoglia responsabilità per le sue azioni passate in Africa Centrale e Libia, che hanno contribuito a una destabilizzazione politica e sociale tale da rendere una astrusa sottigliezza giuridica la distinzione, evocata da Macron, tra “profughi” e “migranti economici”. Macron e la sua Francia puntano a spiazzare l’Italia e a farle pagare, in seguito, il conto: mai come ora, il rivale strategico numero uno del nostro Paese è individuabile in maniera tanto chiara e netta. Ora più che mai, mentre l’Europa si dimostra una mera espressione geografica, sarebbe necessario per l’Italia chiarificare le linee guida dell’interesse nazionale in campo economico e geopolitico: l’ingerenza francese negli affari italiani, infatti, rischia di assestare un colpo decisivo alle prospettive del nostro Paese nei prossimi anni.