François Hollande si appresta a lasciare l’Eliseo al termine del suo mandato presidenziale accompagnato dai più bassi livelli di approvazione mai raggiunti da un capo di Stato francese della Quinta Repubblica e segnato profondamente dai risultati tutt’altro che lusinghieri del suo quinquennio alla guida del Paese, decisamente antitetici rispetto alle promesse che avevano accompagnato la sua ascesa.La vittoria di stretta misura conseguita da Hollande contro il presidente uscente Nicolas Sarkozy il 6 maggio 2012 aveva portato infatti i sostenitori dell’attuale capo di Stato a sperare che per la Francia si stesse aprendo una nuova fase, contraddistinta dal rilancio del sistema economico e dal conseguimento di una maggiore competitività grazie alla rottura con gli allora imperanti dogmi dell’austerity. Cinque anni dopo, si può ben dire che Hollande abbia fatto ben poco per venire incontro alle aspettative del suo elettorato: primo Presidente del Parti Socialiste eletto dopo François Mitterrand, egli vedrà il suo mandato ricordato soprattutto, in tema di politiche economiche, per la contestatissima Loi Travail, attraverso la quale sono messi in discussioni principi cardine dell’ordinamento lavorativo francese come la tutela della settimana lavorativa da 35 ore e la congrua retribuzione degli straordinari, rappresentanti per milioni di cittadini una fonte primaria e imprescindibile di entrate.L’introduzione della Loi Travail ha segnalato il completo appiattimento ideologico (o, come sarebbe meglio dire, post-ideologico) dei socialisti francesi e, in particolare, del Presidente e dell’ex Primo Ministro Manuel Valls, sulle posizioni economiche neoliberiste e, al tempo stesso, non ha sancito alcun passo in avanti per la risoluzione del grave problema della disoccupazione, che attanaglia la Francia con una presa sempre più decisa mese dopo mese. Andrew Walker di Bbc News indicava, nell’aprile 2016, la disoccupazione stessa come la principale priorità da affrontare per spingere al rilancio dell’economia francese: allora il numero di disoccupati aveva raggiunto quota 3 milioni, per un tasso pari al 10,2%, cresciuto nei mesi successivi sino al 10,5% di settembre. La prolungata stagnazione e il progressivo deterioramento delle azioni governative in materia di lavoro hanno prodotto un rilevante contraccolpo sui consensi dell’attuale partito di governo, fortemente ridimensionato in vista delle imminenti elezioni presidenziali e condannato a un’umiliante esclusione dal ballottaggio finale dopo il duro salasso subito ad opera del Front National e del movimento La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon.A ciò bisogna aggiungere un’assoluta carenza di risposte adeguate alle numerose turbolenze sistemiche intervenute in campo economico dal 2012 che, progressivamente, hanno portato la Francia di Hollande a diventare sempre più vulnerabile a numerose, complesse problematiche ben conosciute dall’economia italiana, le quali iniziano a far sentire sempre di più i loro effetti anche oltralpe. Dall’incapacità del governo di offrire un rilancio della qualità della spesa pubblica all’instabilità del debito nazionale, numerosi fattori sono concorsi a rallentare la corsa e i tassi di crescita della seconda economia dell’Eurozona e a farle perdere, progressivamente, competitività nei confronti dell’alleato-rivale tedesco, col risultato di un crescente sbilanciamento degli equilibri di potere interni all’Unione Europea a favore di Berlino. Il triste declino dell’era Hollande sancisce, al tempo stesso, la crisi della Francia, definita dallo Spectator “il malato d’Europa” e ora più che mai bisognosa di una politica economica capace da un lato di sancire una nuova fase di crescita, il più equilibrata e sostenibile possibile, e, dall’altro, di saper imprimere una svolta a un sistema messo troppo in apprensione dalle difficoltà di breve periodo per potersi concentrare sul rilancio nel lungo termine. Una somma di problematiche sembra, al giorno d’oggi, accomunare Francia ed Italia: l’incapacità della politica di offrire soluzioni adeguate alle difficoltà del sistema si incarna completamente nel declino di una Sinistra “istituzionale” sempre più alla deriva e, al tempo stesso, si manifesta concretamente nella continua stagnazione e nell’assenza di prospettive per la creazione di una politica occupazionale efficiente, chiave di volta per la ripresa di qualsiasi economia a corto d’ossigeno.
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