Il potere in Germania si è sempre misurato, nella storia, sulla lunga durata. E lo stesso è valso per i cancellieri che hanno guidato il Paese dopo la rinascita della Germania al termine della seconda guerra mondiale. Sono stati otto, per la precisione, tra il 1949 e il 2021. Li si può elencare come se si parlasse dei sette re di Roma: Konrad Adenauer (1949-1963), Ludwig Erhard (1963-1966), Kurt Georg Kiessinger (1966-1969), tutti e tre cristiano-democratici della Cdu; Willy Brandt (1969-1974) e Helmuth Schmidt (1974-1982), primi socialdemocratici della Spd a guidare la Repubblica Federale; a loro è succeduto il decano Helmuth Kohl (1982-1998), membro della Cdu e padre della riunificazione, a cui hanno fatto seguito il socialdemocratico Gerhard Schroeder prima (1998-2005) e Angela Merkel poi (2005-2021), artefici della nuova centralità di Berlino in Europa.

Per tutti questi leader la tendenza a una leadership prolungata e soprattutto stabile è stata data per assodata a prescindere dalla durata degli esecutivi. Per Olaf Scholza meno di un anno dal suo insediamento, questa possibilità appare già messa in discussione.

Scholz, il cancelliere fragile

L’ex sindaco di Amburgo si è trovato a raccogliere l’eredità della Cancelliera di cui era stato abile ministro delle Finanze e a riportare la Spd alla guida dell’esecutivo nel periodo più complesso: nel pieno della tempesta energetica, nell’epicentro dei rincari dell’inflazione, incubo dell’economia tedesca, alla vigilia di una guerra in Ucraina devastante per Berlino e per le prospettive di convergenza strategica con la Russia su diversi temi di interesse comune.

Soprattutto, con Scholz è parso essere venuto meno quell’approccio sincretico e teso alla perenne mediazione che ha contraddistinto l’era Merkel. Trasformando radicalmente la figura e il ruolo del cancelliere: da perno della mediazione tra i partiti e portavoce di una notevole autorevolezza a centro di scaricamento delle tensioni e delle rivalità intestine alla maggioranza. Non aiutano, in quest’ottica, le contingenze politiche con cui Scholz è arrivato al potere.

Un’alchimia politica complessa

In primo luogo, il suo esecutivo è il primo nella storia in cui convivono tre partiti: la Spd si è alleata con i Verdidi Annalena Baerbock, ministro degli Esteri, e con i liberali Fdp di Christian Lindner, promosso ministro delle Finanze.

L’alchimia della coalizione è stata trovata con la scelta di innestare sul proseguimento della linea Merkel-Scholz del biennio pandemico (superamento del rigore, investimenti, rafforzamento del ruolo tedesco europeo) il rifiuto di nuove imposizioni fiscali proposto dai Liberali e un ragionamento sulla transizione e la sua accelerazione voluto dai Verdi. Ma in ultima istanza la lunga assenza dalle cariche apicali di potere dei partiti in questione ha pesato nel rendere sin dall’inizio litigiosa la maggioranza.

Scholz, leader scomodo nel suo partito

Seconda questione chiave è la personale posizione di Scholz all’interno della Spd. Partito che era risultato travolto in tutte le tornate elettorali prima del voto politico del 2021 e che per risollevarsi si era affidato a una netta svolta a sinistra verso principi liberal, ambientalisti e radicalmente progressisti. Saskia Esken e Norbert Walter-Borjan (a cui nel 2021 è subentrato Lars Klingbeil), co-presidenti e esponenti dell’ala più radicale della Spd, hanno scalato la guida del partito nel 2019 battendo nel voto tra gli iscritti proprio il ticket moderato e centrista che vedeva Scholz alleato all’attuale Ministro per lo Sviluppo Urbano Klara Geywitz.

Scholz è figlio di Amburgo, città di mare, mercantile e anseatica in cui dai primi Anni Sessanta la Spd è formazione aperta al mercato, ai ceti produttivi, al rapporto di potere dialettico con i cristiano-democratici. Soprattutto, è città in cui, da sindaco, è necessario mettere il pragmatismo davanti all’idealismo. Scholz, figlio della Spd di Bad Godesberg che in nome del riformismo rinnegò il marxismo, è per sua natura lontano dalle istanze più radicali, e per un crocevia del destino si è trovato a essere l’uomo decisivo per riportare la Spd al ruolo di primo partito. Unico a invertire i trend negativi dei sondaggi e la fuga di voti verso i Verdi pescando dai delusi della Cdu, dagli astenuti, dai centristi e moderati. Portando un partito mai così a Sinistra negli ultimi trent’anni a livello di base a tornare al governo con l’uomo forse meno tollerato dalla componente più progressista al suo interno. Questo ha spinto Scholz a essere decisivo, certamente, ma non lo ha reso pienamente amato dalla sua stessa base.

Merkel-Scholz, confronto impari

Infine, Scholz è andato forse troppo oltre nel rivendicare la continuità con Angela Merkel. Da agosto a settembre, nella volata della campagna elettorale 2021, il suo slogan dominante è stato “Er kann Kanzlerin”, ovvero “Può fare la cancelliera” e per i tedeschi non c’è stato niente di più rassicurante che un candidato capace di portare avanti la tradizione di Merkel.

Da Nord Stream 2 alle proposte di riforma dei Trattati Europei,Scholz ha imposto una linea di continuità all’esecutivo fin dalle prime battute. Ma quando la storia è tornata a bussare alle porte della Germania Scholz si è dovuto accorgere del fatto che la comunione di intenti non basta e una vicinanza programmatica è secondaria rispetto all’effettiva capacità di proseguire con le proprie forze un percorso politico avviato da un leader al potere per un lungo periodo come la Merkel. In pochi mesi tutte le differenze tra la Merkel e Scholz sono emerse palesi.

L’ex ministro delle Finanze ha dapprima provato senza successo a intestarsi la mediazione sull’Ucraina con Vladimir Putin, senza portare a casa alcun risultato; in seguito dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha vestito i panni del rottamatore della GeRussia cedendo alle pressione dei partner atlantisti della coalizione; infine, si è trovato di fronte alla minaccia della tempesta energetica senza avere le armi per ovviare alla carenza di forniture di gas dalla Russia.

Contemporaneamente, Scholz ha fatto sentire con forza il peso della mancanza della Merkel ai tavoli negoziali euroepi. Tanto che la centralità tedesca da fonte di mediazione è divenuta spesso causa di tergiversamenti e ritardi nelle proposte europee. Berlino ha “sabotato” gli embarghi sul petrolio russo, la proposta di Mario Draghi di un tetto ai prezzi di gas, le discussioni sulle riforme del Patto di Stabilità. Temendo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen come possibile futura candidata della Cdu, Scholz ha iniziato un braccio di ferro con l’inquilina di Berlyamont che ha ritardato il processo decisionale europeo.

Difficili punti di sintesi

In questo contesto, Scholz è da più parti azzoppato nella sua capacità di marciare alla testa di un governo unito. Il combinato disposto tra eterogeneità della coalizione, divisioni nel partito e confronto con l’era Merkel appena conclusasi testimonia la fragilità della leadership di un politico trovatosi all’apice della carriera nel momento più difficile. Quando, cioè, scatta l’era degli statisti. Un ruolo a cui non si può dire di essere pronti finché non sono le contingenze, le dinamiche strategiche, i trend globali a chiamare un capo di Stato o di governo alla responsabilità.

Non tutti i cancellieri tedeschi lo sono stati e nessuno impone a Scholz di diventarlo dall’oggi al domani. Ma la realtà dei fatti parla di un contesto in cui l’ex sindaco di Amburgo può essere la grande vittima politica degli sconvolgimenti dell’ultimo anno. Per durezza delle sfide, più che per limiti personali o ignavia, ma la problematica principale per Scholz è il fatto che la sua leadership appare quotidianamente come quella di un governo a termine. Al cancelliere e alla sua compagine di governo il compito di sfatare questa profezia fosca affrontando di petto le partite decisive per la Germania dei prossimi mesi. A partire dall’imminente tempesta energetica.





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