A luglio, fanno sapere dall’Etiopia, le prime turbine entreranno in azione e l’opera potrà iniziare a dirsi già operativa. Il riferimento è alla grande diga sul Nilo azzurro, che permetterà di avere al paese africano un bacino idrico esteso quanto il territorio di Londra. Una boccata d’ossigeno per una delle nazioni che più soffre di siccità e di mancanza di fonti idriche. Ma la coperta del Nilo, quantunque estesa, non è infinita: tirando da una parte ci si copre, dall’altra parte invece si rischia di rimanere scoperti. E così, ecco che da anni la questione relativa alla diga, chiamata “del Rinascimento” dagli etiopi, turba i sonni degli egiziani preoccupati di un minore afflusso d’acqua nel paese. I quali, dal canto loro, alla vasta portata del Nilo devono la storia, l’identità ed anche la vita attuale del 95% della popolazione che abita lungo le sponde del fiume.
Il progetto che parla anche italiano
Il grande fiume che ha visto il sorgere della civiltà egiziana, nasce come corso unico nei pressi della capitale sudanese Khartoum. Qui convergono infatti i suoi due più importanti affluenti: il Nilo Bianco ed il Nilo Azzurro. Il primo nasce tra i monti dell’Uganda, ma è il secondo che contribuisce alla portata principale di uno dei corsi d’acqua più lunghi al mondo. Ed il Nilo Azzurro ha origine proprio dagli altipiani etiopi. Nei pressi del confine con il Sudan, il governo di Addis Abeba anni fa ha progettato una nuova grande diga in grado di sfruttare una parte dell’immensa gittata che il Nilo Azzurro riversa poi verso nord. È nata così l’idea dell’infrastruttura concepita per essere nel suo genere la più grande del continente africano, in grado di dare la possibilità all’Etiopia di poter contare su una fornitura idrica ben più importante di quella odierna.
Nel 2014 sono partiti i lavori della diga, affidati ad una ditta italiana: la Salini Impregilo. C’è dunque anche l’interessamento del nostro paese in quello che viene considerato come uno degli investimenti più importanti fatti in Africa negli ultimi anni. E dietro il quale non è mancato, nel corso della progettazione, anche l’impulso cinese. Ma da quando sono iniziati i lavori, tra Addis Abeba ed Il Cairo è sorto un contrasto ancora oggi difficilmente sanabile. E che, in vista dell’attivazione delle turbine, potrebbe sfociare in ulteriore tensione politica.
Un negoziato difficile
L’Egitto, come accennato ad inizio articolo, teme soprattutto una diminuzione della portata del Nilo. Preoccupazione condivisa con il Sudan, la cui posizione viene però vista con sospetto da Il Cairo secondo cui più volte Khartoum è stata sul punto di schierarsi dalla parte etiope. La vicenda comunque, sta riguardando maggiormente Egitto ed Etiopia. La diga per Addis Abeba è ulteriore segno delle ambizioni di rinascita del popolo, gli egiziani invece temono da questo momento in poi un progressivo avanzamento del deserto negli unici terreni coltivabili del proprio paese. L’Egitto ha posto la questione anche sul piano prettamente giuridico: il governo de Il Cairo, in particolare, rivendica la validità attuale del trattato stipulato con il Sudan nel 1959, in cui è stato stabilito come 55.5 miliardi di litri cubi d’acqua ogni anno possano essere sfruttati dal paese nordafricano. Con la diga etiope, la portata potrebbe scendere drasticamente, secondo Il Cairo, anche sotto i 50.
Negli ultimi mesi, sollecitata dal presidente Al Sisi, la Casa Bianca ha accettato di interessarsi della vicenda avviando una lunga serie di negoziati. Donald Trump si era detto fiducioso di un accordo entro il 15 gennaio 2020, che però non è arrivato. Allora, da Washington si punta adesso a far stringere la mano tra Al Sisi ed premier etiope Ahmed Abiy entro questo mese di febbraio. Ma, come scritto nei giorni scorsi dal New York Times, la situazione non è affatto semplice. Assodato che l’opera oramai verrà completata, in parte attivata a luglio e poi ultimata entro il 2022, a questo punto l’unico scenario possibile è un accordo sui benefici energetici derivanti dalla diga. E su questo, promettono da Washington, è possibile giungere ad un’intesa. Il vero punto di discordia è sui tempi di riempimento della diga: l’Egitto chiede un’entrata in funzione graduale dell’invaso, l’Etiopia invece vorrebbe portare a casa il massimo risultato in tempi brevi.