Allarme, Trump sta tornando alla ribalta: almeno questo è il senso del messaggio “da Cassandra” di Hillary Clinton in tutte le sue ultime interviste e in particolar modo in quella rilasciata alla Nbc domenica. L’ex segretaria di Stato e candidata presidenziale del 2016, non solo afferma che l’ultimo presidente repubblicano, se si ricandidasse potrebbe vincere, ma anche che, se vincesse, sarebbe la fine della democrazia americana per come l’abbiamo conosciuta finora. Che significato (e quale importanza) dare a delle parole così gravi, pronunciate da un personaggio ancora influente della politica statunitense?
Il messaggio della Clinton è rivolto soprattutto ai Repubblicani che, dal 2023, dovranno scegliere di nuovo il loro prossimo candidato presidenziale. Per quanto riguarda il passato recente, li rimprovera di non aver voluto fermare l’avanzata di Trump nelle elezioni primarie: “Non hanno coscienza”, è giunta a dire la first lady di Bill Clinton. Perché: “potrebbe essere la fine della nostra democrazia se lui, o qualcuno tipo lui, verrà di nuovo eletto presidente e specialmente avrà un Congresso ai suoi ordini, non si riconoscerà più il nostro Paese”. I toni sono quelli da profetessa inascoltata di fronte a un pericolo imminente: “Ho cercato di mettere in guardia la gente, ho cercato di mostrare che era veramente pericoloso, per le persone con cui era alleato, per quello che diceva, per quello che avrebbe potuto fare”.
Un ragionamento come quello della Clinton va letto alla luce della sua esperienza personale. Non aveva assolutamente messo in conto di essere battuta dal miliardario neofita della politica (e dello stesso Partito Repubblicano), al punto che non aveva neppure scritto un discorso per ammettere l’eventuale sconfitta. Non si sa ancora di preciso come abbia reagito, nell’immediato, Hillary Clinton, quando divenne chiaro che aveva perso, in quella lontana serata di novembre 2016. Sappiamo solo che, rompendo una consuetudine secolare, non si palesò neppure ai suoi sostenitori riuniti al Javits Center. E l’anno successivo, stando alle sue stesse memorie, lo passò in ritiro, camminando per boschi e praticando yoga. Il trauma della sconfitta non è stato elaborato, considerando che ancora la settimana scorsa, la Clinton si è commossa di fronte alle telecamere della Cnn leggendo il discorso che aveva scritto per la sua vittoria.
Ma non è solo una questione personale. La negazione della legittimità del potenziale avversario repubblicano è il segno della polarizzazione della politica americana di questi anni. La legittimità di Biden, stando al suo stesso discorso inaugurale, risiede soprattutto nella difesa della democrazia dalla minaccia esistenziale che proviene dall’interno e per “minaccia esistenziale” intende soprattutto i sostenitori estremisti di Trump, quelli che diedero l’assalto (ma disarmati e subendo una vittima per mano della polizia) al Campidoglio, il 6 gennaio 2021. In questa ottica viene considerata come inconcepibile un’alternanza con Trump, se l’ex presidente dovesse decidere di ricandidarsi e si ostinasse addirittura ad essere eletto.
Eppure questa strategia politica non paga. Terry McAuliffe, il governatore democratico che mirava alla rielezione, nelle ultime elezioni in Virginia, ha giocato tutto sul terrore del “trumpismo”. «La gente vuole essere nobilitata, ma Trump è odio e divisione. Vuole candidarsi ancora nel 2024. Penso che voglia usare questo voto (in Virginia, ndr) come trampolino di lancio per la sua candidatura. Ecco perché ha dato il suo endorsement a Youngkin (il candidato repubblicano, ndr), sette o otto volte». Ebbene, McAuliffe ha perso e Youngkin, pur partendo in svantaggio da neofita della politica, ha vinto in uno Stato che l’anno prima aveva votato per Biden.
Se i Democratici fossero più pragmatici lo capirebbero, saprebbero di dover puntare ormai su altri sentimenti. Nel vasto pubblico, sia Trump che Biden risultano entrambi impopolari (con un tasso di approvazione inferiore al 50%), ma Donald Trump è meno impopolare di Biden secondo i sondaggi raccolti da Five Thirty Eight il 14 dicembre 2021. Premesso che manca ancora tanto alle elezioni e che la politica statunitense viaggia molto più velocemente di quella italiana, questi numeri dovrebbero indurre gli strateghi della sinistra americana a cambiare tattica, o quantomeno linguaggio. Ma fino a che punto possono essere ancora pragmatici? Come la sinistra italiana è sempre stata convinta di aver a che fare con inammissibili nemici esistenziali, anche i Dems si stanno infilando nello stesso tunnel ideologico. Se si percepiscono realmente come gli unici custodi della democrazia americana, a costo di impedire ogni ulteriore alternanza democratica, non potranno cambiare idea e non vorranno cambiare discorso. Ma a questo punto, chi costituisce una vera minaccia al sistema democratico statunitense?