La fragilità dei governi democratici inizia a essere un problema endemico dell’Occidente? La domanda inizia a farsi più insistente alla luce della situazione nella maggior parte dei Paesi del blocco euro-atlantico in cui sembra essere ormai scontato un perdurante stallo degli esecutivi.
Le dimissioni di Boris Johnson nel Regno Unito erano state le ultime, clamorose, evoluzioni di un Paese che è considerato la culla del costituzionalismo. Ma gli ultimi mesi hanno in realtà consegnato una generale immagine di crisi che ha coinvolti diversi Stati. Poi è arrivato il turno dell’Italia, che nella condizione anomala di un esecutivo nato dall’emergenza, con una larga maggioranza, ha assistito a un’improvvisa accelerazione verso la crisi di governo dopo la scelta del Movimento 5 Stelle di dissentire dalla linea del presidente del Consiglio, Mario Draghi.
Prima ancora era stata la Francia, per molti osservatori vista come una garanzia di decisionismo data dall’ordinamento da monarchia repubblicana, che vede oggi un Emmanuel Macron debole e senza una maggioranza stabile e politicamente omogenea. Non va meglio a Olaf Scholz, cancelliere che già scontava il fatto di arrivare dopo Angela Merkel, e che si trova a dovere fare i conti con un insieme di partiti diversi e che rappresentano istanze completamente divergenti su temi importanti che vanno dall’energia alle finanze fino alla politica internazionale. Infine la Spagna, che a questo punto ha uno degli esecutivi più longevi d’Europa, ha un primo ministro, Pedro Sanchez, che fonda la sua leadership su partiti piccoli che spesso si sono posti in contrasto con l’ordinamento costituzionale, in particolare i secessionisti.
Le cose non vanno bene nemmeno per uno dei maggiori alleati del blocco euro-atlantico in Medio Oriente, Israele, che addirittura si avvicina a nuove elezioni con il rischio di essere ormai in uno stato di perenne crisi di governi e campagne elettorali.
L’immagine che scaturisce da questo breve elenco di Paesi suggerisce che l’Occidente vive una profonda crisi esistenziale. Il suo pilastro più grande, la democrazia parlamentare, appare in crisi. E questo non può essere considerato un tema secondario. In molti pensavano che il problema fossero i leader, chi troppo populista chi troppo moderato o poco carismatico. Ma a questo punto sembra difficile che sia solo la leadership il nodo da sciogliere, visto che ci troviamo di fronte a capi di governo o di Stato molto diversi tra loro per origine, metodi di elezioni o caratteristiche personali. Il problema dunque è endemico. E lo dimostra il fatto che anche gli Stati Uniti, che di questo blocco sono il vertice, vivono ormai un rapporto estremamente difficile con i risultati delle scelte democratiche, quasi in una forma di guerra civile continua o, nella migliore delle ipotesi, di una feroce polarizzazione. Donald Trump era accusato di essere un presidente nefasto, il peggiore della storia americana. Joe Biden, che di Trump è l’esatto opposto quanto a carisma e scelte politiche, non riesce a uscire da una condizione di fragilità e si appresta a una probabile sconfitta nelle elezioni di medio termine.
Di fronte a questo scenario, ci si trova davanti a due paradossi. Il primo è che gli unici governi del blocco occidentale ritenuti tendenzialmente stabili e senza particolari sbandamenti sono quelli dell’Europa orientale. Governi in larga parte euroscettici, molto più atlantisti che europeisti, netti nelle loro scelte di politica estera e oggi unici in grado di esprimere in modo chiaro una linea comune anche come blocco. L’Ungheria di Viktor Orban è un’eccezione quanto al rapporto con la Russia, ma in generale Budapest dimostra di avere le idee chiare sul molti fronti.
L’altro paradosso è che la coerenza politica e la stabilità di governo iniziano a essere drammaticamente appannaggio di Paesi ritenuti estranei al blocco occidentale o che ne vivono ai suoi confini. Potenze o anche superpotenze che sono le uniche forze stabili in un mondo che appare in continua ricerca di soluzione al caos. Sono i partner al di là dell’Occidente a essere considerati i punti fermi di questo mondo. Paesi come l’India, la Turchia, la stessa Russia, la Cina e altri Stati mediorientali e nordafricani sono considerati interlocutori privilegiati del sistema occidentale, chi anche come membro (la Turchia), chi come rivale. In ogni caso tutti protagonisti assoluti della politica mondiale. Eppure nessuna di queste viene ritenuto membro effettivo dal circuito liberale internazionale o più concretamente di quel “blocco delle democrazie” ideato dallo stesso Biden. Un problema che non va sottovalutato nel momento in cui le relazioni internazionali vivono una situazione di forte caos e, prendendo le parole di Robert Kagan (non a caso autore citato in parlamento proprio da Draghi), “l’ordine mondiale liberale in cui viviamo dal 1945 […] non sta tanto bene”.