Negli sviluppi successivi ai disordini che hanno scosso Gerusalemme nelle scorse settimane, molti attori interni ed esterni sono stati coinvolti direttamente o meno, dai libanesi fino agli iraniani. Un nome su tutti si è fatto notare invece per la propria assenza: quello dell’Autorità Nazionale Palestinese.
La sfiducia progressiva
L’istituzione nata dagli accordi di Oslo oramai trent’anni fa – di cui Yasser Arafat fu presidente fino alla sua morte nel 2004 – doveva fungere da amministrazione transitiva per rappresentare gli interessi dei palestinesi nel percorso di formazione dello Stato. Invece, l’ANP guidata da Mahmoud Abbas (88 anni) sta diventando un’eredità politicamente irrilevante di un processo di pace agonizzante. Anti-democratica, inefficiente e corrosa dalla corruzione, l’Autorità è stata accusata dagli stessi palestinesi di agire come un sub-contractor delle Forze di Difesa Israeliane e di tutelare il governo di Tel Aviv più degli abitanti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Fin dalla sua fondazione, la legittimità dell’Autorità Palestinese è stata basata sulla partecipazione al processo di pace che avrebbe dovuto creare uno Stato palestinese accanto a quello israeliano, ma il congelamento di quelle trattative ha messo l’istituzione di fronte ad una crisi esistenziale.
Una recente indagine del professor Khalil Shikaki, direttore di un importante think tank di Ramallah che studia le policy palestinesi, ha infatti svelato la metà dei palestinesi pensa che la dissoluzione dell’ANP gioverebbe alla causa palestinese, e che oltre il 70% dei rispondenti guarda positivamente alla nascita di nuovi gruppi armati per arginare il bilancio delle vittime delle violenze.
Questi numeri descrivono un quadro di preoccupante sfiducia nei confronti dell’istituzione, riconducibile a diversi fattori. In primo luogo a pesare è lo scontento della popolazione civile, stanca di vedere l’istituzione inerte di fronte all’avanzamento e alla moltiplicazione degli insediamenti israeliani in territorio palestinese. Inoltre l’organo di auto-governo palestinese è stato incapace di proteggere i palestinesi dalla violenza di quei coloni radicali israeliani che periodicamente attaccano città e campi coltivati palestinesi. La legittimità dell’Autorità Palestinese è ulteriormente minata da quando sono aumentati i raid delle Israeli Defence Forces nelle città palestinesi formalmente sotto il controllo delle forze di sicurezza palestinesi.


Le carenze e il malcontento popolare
Da quando è tramontata la possibilità del processo di pace, i cittadini palestinesi si sono rassegnati all’idea che, non potendo dar loro uno Stato, l’ANP potesse almeno garantire i servizi di base, ma anche questa speranza è stata delusa. L’economia palestinese è infatti paralizzata dai continui scioperi con cui i lavoratori chiedono salari più alti. In Cisgiordania ad esempio migliaia di insegnanti scioperano da febbraio reclamando il diritto di eleggere un sindacato che li tuteli; come risultato, da mesi decine di scuole funzionano appena e le lezioni sono continuamente interrotte. Anche i servizi di sanità pubblica sono duramente provati, a corto di medici e medicine.
Parte di questo problema sono le iniziative unilaterali di Israele che periodicamente trattiene milioni in tasse e imposte doganali – che raccoglie a nome dell’ANP – perché quest’ultima non assolve il proprio dovere in materia di sicurezza con un impegno insufficiente nel contrasto alle azioni terroristiche di Hamas e altre milizie armate. Raja al Khalidi, direttore dell’Istituto di ricerca per la policy economica palestinese, ha affermato che “l’Autorità Palestinese non è in grado di onorare i propri obblighi nei confronti della popolazione, e questa è una forma di collasso istituzionale, anche se non fisico”.
Di recente l’organo di governo, che già da 15 anni non controlla i territori della Striscia governati dal partito armato Hamas, ha anche perso largamente il controllo delle città principali della Cisgiordania come Jenin e Nablus, dove sono emersi numerosi gruppi armati come Lions’ Den (la Fossa dei Leoni). Questi sono ritenuti responsabili degli attacchi contro obiettivi israeliani in Cisgiordania che hanno causato anche vittime civili. La comunità internazionale ha alzato la pressione su Mahmoud Abbas perché riprenda il controllo di quei territori, proiettando un’immagine di grande debolezza anche all’estero.

I problemi di bilancio e l’incapacità amministrativa si riflettono poi sui servizi di sicurezza. Alti ufficiali di polizia palestinesi hanno confidato all Economist che degli 83mila membri delle forze dell’ordine (quella palestinese è una delle ratio militari-civili tra le più alte al mondo), di media 2500 ogni giorno non si presentano in servizio perché integrano i loro salari con lavori part-time nell’edilizia o nel settore alberghiero in Israele. Mentre lì arrivano a guadagnare intorno ai seimila shekel mensili, il contratto di un soldato semplice nei territori palestinesi sfiora appena i duemila skehel.
In un commento al suo studio, il professor Shikaki ha concluso che “la percezione della popolazione è che la leadership dell’Autorità Palestinese sia più di tutto interessata a mantenere lo status quo e quindi la propria posizione al potere, e che per questo sia disposta a chiudere un occhio e a non contrastare la policy israeliana a discapito degli interessi del popolo palestinese”.
Il trend anti-democratico
Questa crisi di legittimità non è di certo favorita dalle modalità non democratiche dell’organo: l’ultima volta che i palestinesi hanno votato per il Consiglio Legislativo, ovvero il parlamento interno all’ANP, era il 2006. Il presidente Abbas, eletto nel 2005, guida oggi l’ANP per il diciottesimo anno consecutivo del suo mandato iniziale di 4 anni. Non dà segni di voler rinunciare al palazzo presidenziale, cosa che, secondo secondo i sondaggi, sarebbe costretto a fare nel caso di una eventuale elezione. Finora, con diverse motivazioni o pretesti, le elezioni sono state rimandate a poche settimane dalla data prevista. L’ultima volta è successo nel 2021: le previsioni di voto anticipavano una cocente sconfitta per Fatah, il partito del Presidente, e Abbas ha disdetto le elezioni legislative “perché senza Gerusalemme est il voto non si può tenere”.
L’attuale leadership, la stessa dal 2009, si è progressivamente svuotata di legittimità elettorale, mentre si è rafforzata la convinzione che la corruzione dilaghi all’interno degli organi dell’Autorità Palestinese. Le politiche adottate negli ultimi anni ne fanno un organo altamente autoritario in cui sta venendo a mancare una netta separazione tra i poteri; il sistema giudiziario è compromesso, non c’è più responsabilità democratica né controllo nel sistema politico.
Oltre alla crisi di legittimità, il sistema politico palestinese è contraddistinto anche mancanza di unità, sia geografica che politica. La divisione tra Cisgiordania e Striscia di Gaza infatti si somma alla mancanza di cooperazione tra i due maggiori partiti politici, Hamas e Fatah (di cui lo stesso Abbas è leader, in una somma di ruoli politici e istituzionali che poco giova ad un orientamento democratico). Negli ultimi dieci anni, l’Autorità Palestinese ha tenuto una linea sempre più dura nei confronti dell’opposizione, allontanando la possibilità di una distensione con Hamas e una riunificazione con i territori che controlla.

La preferenza per i gruppi armati
Stando ai risultati dell’indagine di Shikaki, per la maggior parte gli anziani palestinesi si oppongono all’idea di imbracciare le armi perché non vogliono ripetere una seconda intifada, ma altre posizioni stanno cambiando. l 54% dei palestinesi crede che la violenza sia il modo migliore per porre fine all’occupazione israeliana, mentre il 68% è a favore della formazione di gruppi armati come la Fossa dei Leoni, che ha rivendicato la maggior parte degli attacchi armati nell’area di Nablus dalla sua formazione, meno di un anno fa. Questa e altre milizie terroriste affiliate alla Brigata dei Martiri di Al-Aqsa e Jihad Islamica in Palestina operano tutte al di fuori del controllo dell’Autorità Palestinese. Il presidente Abbas e l’ANP attribuiscono l’emergenza di questi gruppi alla situazione difficile in cui sono costretti ad operare.
Se l’Autorità Palestinese si dissolvesse, lascerebbe dietro di sé un vuoto politico che verrebbe colmato molto probabilmente da fazioni violente che rigettano completamente l’opzione di un ritorno al tavolo delle trattative per un processo di pace condiviso. A quel punto, per quanto imperfetta, molti sentirebbero la mancanza di un’istituzione come l’ANP, ma potrebbe essere troppo tardi.