Una guerra sotterranea, fatta di sostanze chimiche, sequestri, arresti e scambi di accuse. Il fronte più nascosto dei tanti che dividono Cina e Stati Uniti è legato a doppio fino con la crisi degli oppioidi che sta devastando intere comunità in America. Al centro della contesa c’è il fentanyl, l’oppioide sintetico più diffuso sul suolo americano. La sostanza che più di tutte sta colpendo interi strati della popolazione giovanile ma non solo. Qualcuno parla di malessere americano, altri di nuova guerra dell’oppio, ma dietro alle migliaia di storie che distruggono famiglie e intere città, si cela un braccio di ferro geopolitico che coinvolge Cina e Stati Uniti.
Il braccio di ferro sul fentanyl
La questione del fentanyl e delle overdose americane, si aggiunge alla lunga lista di frizioni tra le due potenze. Per gli americani si tratta di un tema nome, dovuto all’azione transnazionale di grossi gruppi criminali, ma non solo. A inizio luglio il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha tenuto un primo incontro virtuale con una coalizione di volenterosi impegnati a frenare il traffico di droghe sintetiche, una “piaga”, ha detto Blinken, “che nessun Paese può affrontare da solo”. Al momento questa coalizione è composta da oltre 80 Paesi, ma all’incontro mancava forse il soggetto più importante, Pechino.
La Repubblica popolare, che gli Usa considerano come la prima responsabile dei traffici di oppioidi sintetici verso il suolo americano, ha declinato l’invito e in più riprese ha respinto ogni tipo di accusa, parlando dell’epidemia del fentanyl come di una crisi dettata dalla domanda interna.
L’ecatombe delle droghe sintetiche
In America la piaga del fentanyl ha numeri da apocalisse. Nel 2022 circa 107mila americani sono morti per un overdose, un numero letteralmente esploso dai 71 mila del 2019. Di questi circa due terzi, indicativamente 70-80 mila persone, sono morte per un overdose causata da oppioidi sintetici. Nella fascia tra i 18 e 49 anni i è la prima causa di morte. Come ha scritto il Financial Times tra i giovanissimi (15-19 anni) le overdose non intenzionali sono aumentate del 150% tra il 2018 e 2021. Secondo la Dea, l’agenzia federale antidroga che risponde al dipartimento di Giustizia, la gran parte del fentanyl entra negli Stati Uniti dal Messico, grazie all’attività dei cartelli messicani.
Ma i rapporti della Dea e del Congresso americano dicono molto altro. Scrivono nero su bianco che quella messicana è solo una tappa delle sostanze e che il viaggio verso le strade delle città americane parte da molto più lontano e più precisamente dalla Cina. Non a caso nella sua missione in Cina, Blinken ha toccato questo argomento con il suo omologo e con il presidente Xi Jinping.
Il viaggio di Blinken e le richieste Usa
La missione che a metà giugno ha portato il segretario di Stato Usa in Cina serviva a continuare la strada del disgelo tra i due Paesi. Saltata in febbraio dopo il ritrovamento di un presunto pallone spia cinese sui cieli americani, e quasi rimandata dopo la rivelazione di una possibile base spia cinese a Cuba, la missione ha certificato che i due Paesi si stanno parlando. È stata seguita da una visita della segretaria del Tesoro Janet Yellen e ha funto da punto di partenza per un possibile incontro tra Biden e Xi nei prossimi mesi.
I risultati però si sono fermati a un quadro d’insieme. Gli avanzamenti su pratiche specifiche sono stati limitati. Giocoforza anche il dossier fentanyl è rimasto appeso. Blinken a margine degli incontri a detto che i due paesi hanno trovato un’intesa per “esplorare la creazione di un gruppo di lavoro congiunto per combattere il traffico di fentanly”, ma da allora niente si è mosso. Il 13 luglio, in occasione di una tappa a Jakarta per una serie di incontri del gruppo Asean, Blinken ha incontrato per la seconda volta in meno di un mese uno dei capi delle diplomazia cinese, Wang Yi, e sul tavolo è finito di nuovo il dossier Fentanyl. Ma sotto la grande diplomazia, le frizioni tra Cina e Usa continuano.
Gli arresti e le sanzioni
Circa un mese prima del volo di Blinken in Cina le autorità americane avevano fermato due cittadini di origine cinese, Chen Yiyi e Wang Qingzhou. Stando al rapporto delle autorità americane i due sarebbero stati fermati con l’accusa di traffici legati alle linee di approvvigionamento del fentanyl. Verrebbe da pensare a un arresto tra i tanti, ma in realtà Yiyi e Qingzhou sono stati fermati alla isole Fiji, quelle stesse isole al centro della contesa tra le due potenze. Non solo. Per quasi un mese il fermo dei due non si è mai tramutato in accuse specifiche, l’incriminazione del dipartimento di Giustizia è arrivata qualche giorno dopo il rientro di Blinken. Oltre ai due sono state mosse accuse penali anche ad altri sei cittadini cinesi e quattro aziende del settore chimico della Repubblica popolare.
Una mossa che ovviamente scatenato le ire di Pechino, che ha chiesto il rilascio dei propri cittadini. La linea cinese è chiara: Washington la deve smettere di accusare gli altri Paesi per i proprio problemi interni: “Attaccare e diffamare la Cina non sistemare il problema tronco dell’abuso di drone nei Stati Uniti”, ha scritto in un editoriale il Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Comitato centrale del Partito comunista cinese.

Foto: EPA/SHAWN THEW
Cooperazione fino al 2019
L’aggravarsi della crisi degli oppioidi e l’inasprissi del braccio di ferro tra Cina e Usa sui traffici illeciti che partono dalla Repubblica popolare si intrecciano e autoalimentano da tempo. Nel 2019 il presidente Xi Jinping aveva fatto seguito a una promessa che Donald Trump gli aveva strappato: fare qualcosa per aiutare gli Usa contro l’epidemia di overdose. Pechino aveva quindi inserito tutte le varie forme di fentanyl e oppioidi sintetici negli elenchi di droghe vietate, creando così una delle legislazioni più restrittive del mondo. Addirittura più di quella americana dato che negli Stati Uniti il fentanyl è classificato come stupefacente in una lista che dovrà essere revisionata e aggiornata nel dicembre del 2024.
Verso la fine del 2019, qualche mese prima che scoppiasse la pandemia di Covid-19, nove persone erano state condannate da un tribunale dell’Hebei per traffico illegale di fentanyl negli Usa, al culmine di un’operazione iniziata a New Orleans due anni prima. La condanna è stata l’ultimo episodio di una collaborazione che si è poi allentata. Xi sperava che la mano tesa sul fronte degli oppioidi portasse a un allentamento dei dazi voluti dall’amministrazione Trump. Quell’allentamento non è mai arrivato, nemmeno durante l’amministrazione Biden. E questo ha disincentivato i controlli negli anni successivi. Poi è arrivato l’agosto del 2022.
La visita dell’ormai ex speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi a Taiwan ha fatto saltare tutta una serie di canali di comunicazione tra i due Paesi, incluso quello sul dossier fentanyl. Come ha notato il Guardian, per diversi anni, molti consideravano il tema della lotta alla droga un possibile terreno comune, poco ideologico, sul quale i due Paesi fossero in grado di trovare un’intesa (l’altro ad esempio è quello legato al cambiamento climatico). Ma oggi anche quel canale è chiuso, sigillato.

Foto: Xinhua
La fine cooperazione e le catene di fentanyl verso gli Usa
La delusione per il mancato stop alle sanzioni, unito all’irritazione per la visita di Pelosi, ha creato un mix che è andato ad alimentare queste catene del valore che riforniscono di fenatanyl le piazze americane. Per prima cosa il bando di Xi ha alterato il modo in cui le sostanze arrivano negli Usa. Da prodotto finito si è via via passati all’invio di sostanze “scomposte”. Quasi tutte sono lecite e in molti casi vengono usate in ambito chimico e farmaceutico. Non solo. Il flusso ha trovato terreno fertile in Messico dove i cartelli hanno funto di punto di snodo del nuovo traffico, con laboratori, centri di raccolta e logistica.
Lo stop del 2022 ha fatto il resto. Oggi è infatti impossibile pensare a Washington e Pechino che si scambino dati di intelligence su come si muovono le organizzazioni transnazionali, su quali hub utilizzano e come funzionino le reti di finanziamento. La parcellizzazione della catena del valore che non fa circolare più il prodotto finito ma le materie prime per la produzione ha reso più flessibile il traffico e soprattutto ha creato “un’arma” nelle mani della Cina.

Foto: Dea
La leva geopolitica cinese
Oltre alle prese di posizione sulla stampa, Pechino sta iniziando a utilizzare la crisi del fentanyl come una leva per colpire gli Stati Uniti lì dove fa più male. Pechino vede la cooperazione come qualcosa di subordinato ai negoziati geopolitici. Irritata per la posizione americana sempre più assertiva su Taiwan, preoccupata per la maglia che gli Stati Uniti le stanno cucendo intorno in tutto l’Indo-Pacifico, e incalzata sul piano tecnologico, la Cina inserirà l’aiuto sul dossier fentanyl in un possibile negoziato. In questo modo una crisi endemica e senza apparente soluzione per gli Stati Uniti diventa un opportunità d’oro per Pechino.
In questa particolare fase Xi Jinping sa bene che Biden si gioca molto in vista della campagna elettorale del 2024, sa che la Casa Bianca ha un dossier scottante per le mani. I repubblicani al Congresso premono per interventi più incisivi, soprattutto sul fronte del braccio di ferro con Pechino. E sanno che in molte comunità il tema fa presa sugli elettori, soprattutto in Stati duramente colpiti come quelli de MidWest, vinti da Trump nel 2016, e ancora oggi fondamentali per prendere la Casa Bianca.