Fermare ad ogni costo Donald Trump. Più prende corpo la possibilità che le elezioni presidenziali Usa del 2024 si apprestino a diventare una riedizione di quelle del 2020 e più una parte della società americana, non necessariamente legata al partito democratico, si interroga su come impedire la candidatura del miliardario. Soprattutto alla luce dei suoi guai legali. Ad aprire alla prospettiva sono stati i professori universitari di estrazione conservatrice William Baude e Michael Stokes Paulsen i quali in un articolo pubblicato sulla University of Pennsylvania Law Review hanno argomentato che il 14esimo emendamento non permetterebbe all’ex presidente di correre per la Casa Bianca. 

Per inquadrare meglio la questione occorre fare un passo indietro. La costituzione Usa stabilisce in maniera esplicita i requisiti affinché un cittadino possa candidarsi alla carica più alta prevista dalla democrazia a stelle e strisce: aver compiuto almeno 35 anni, essere nato su suolo americano ed essere residente nel Paese per più di 14 anni. A questi si aggiunge il divieto di un terzo mandato da presidente.

Le vicende giudiziarie di Trump in teoria non sembrerebbero quindi sufficienti a squalificarlo dal correre per una carica federale. È qui però che entra in ballo la sezione tre del 14° emendamento della carta costituzionale, adottato dopo la guerra civile, che vieta di candidarsi a chi ha partecipato ad insurrezioni o ha fornito “aiuto e conforto” ai ribelli.  

Baude e Paulsen, costituzionalisti e membri del think tank conservatore Federalist Society, hanno studiato a fondo il 14° emendamento raggiungendo la conclusione che Trump non possa candidarsi alla presidenza “a meno che i due terzi del Congresso non gli concedano un’amnistia per la condotta da lui tenuta il 6 gennaio”. Il riferimento è al ruolo svolto dall’ex presidente nei fatti che portarono all’assalto al campidoglio il giorno della certificazione dei risultati delle elezioni del 2020. Ad inizio agosto il procuratore speciale Jack Smith ha ottenuto l’incriminazione del tycoon con le accuse di truffa ai danni degli Stati Uniti, ostruzione di un’attività ufficiale del governo, cospirazione per il suo impedimento e violazione dei diritti civili dei cittadini americani. I due luminari hanno fatto notare come ci siano stati più morti e feriti a causa degli eventi del gennaio 2021 di quanti ce ne furono nella battaglia di Fort Sumter che diede il via alla guerra civile nel 1861. 

Nel frattempo, diversi altri esperti del diritto hanno abbracciato la tesi di Baude e Stokes. Tra questi Laurence Tribe e J. Michael Luttig hanno pubblicato un articolo relativo alla questione sul magazine The Atlantic. Tribe ha dichiarato inoltre alla Cnn che gli estensori del 14° emendamento ritenevano che rimettere al potere chi aveva cercato di sovvertire l’ordine costituito avrebbe comportato la “fine della nazione e della democrazia”. Anche se tale conclusione non è condivisa dall’intera comunità dei giuristi Luttig sostiene che la Corte Suprema potrebbe addirittura esprimersi in merito all’eleggibilità di Trump prima delle primarie. 

Nelle ultime settimane il dibattito sul 14° emendamento si è trasferito dal mondo accademico a quello politico. Tim Kaine, senatore democratico ed ex candidato alla vicepresidenza nel 2016 insieme ad Hillary Clinton, ha affermato di trovare convincenti i motivi che potrebbero portare ad un’esclusione di Trump dalla campagna elettorale. I segretari di stato in Florida, Ohio, Wisconsin, New Hampshire, New Mexico, Arizona, Michigan e Colorado hanno già ricevuto richieste da cittadini e da gruppi di attivisti per valutare la squalifica del tycoon

Trump ha definito “senza senso” e “un’interferenza elettorale” la discussione scatenata sul 14° emendamento ripetendo in un’intervista alla radio la tesi delle votazioni truccate. L’ex presidente ha ribadito infatti di aver sconfitto i suoi avversari due volte ma che nel 2020 gli avversari hanno “barato di brutto”. Un’accusa al partito democratico e a Joe Biden condivisa da una parte importante dell’elettorato. Secondo un recente sondaggio condotto da Nbc News/Des Moines Register il 51% degli intervistati iscritti ai caucus repubblicani dell’Iowa – primo stato a votare alle primarie – considera, senza prove credibili, che il tycoon sia il legittimo vincitore delle ultime elezioni. Con queste premesse la strada per la Casa Bianca si annuncia più lunga e spietata che mai. 

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