Il governo nordcoreano, attraverso un editoriale del Rodong Sinmun, ha respinto al mittente l’offerta di dialogo arrivata da Washington, liquidandola come uno stratagemma per manipolare la comunità internazionale. Secondo il quotidiano ufficiale delle Repubblica popolare della Corea del Nord, “gli Stati Uniti stanno cercando di addossare ad altri le tensioni nella penisola coreana”, distorcendo, secondo Pyongyang, la visione mondiale riguardo alle azioni della Corea del Nord e a quanto sta accadendo a cavallo del 38esimo parallelo. Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, la scorsa settimana aveva detto che l’amministrazione Usa sarebbe anche disposta a sedersi a un tavolo di negoziati con il regime nordcoreano, “senza precondizioni”. Un’apertura abbastanza inusuale per la nuova amministrazione Trump ma anche per tutte le amministrazione precedenti a questa che invece per anni, se non decenni, hanno chiesto prima azioni concrete a Pyongyang e poi la possibilità di dialogo. La scelta delle parole del segretario Usa, cioè quel “senza precondizioni”, aveva fato quasi intendere alla comunità internazionale che gli Stati Uniti fossero aperti a un dialogo del tutto rinnovato, in cui si cambiavano le dinamiche che caratterizzavano le offerte di negoziati tipiche fra Washington e Pyongyang. In realtà, successivamente la Casa Bianca ha puntualizzato (smentendo ancora una volta il suo delegato agli Esteri) che il dialogo non sarà possibile senza che la Corea del Nord non “cambi totalmente il suo comportamento”.
Questa precisazione della Casa Bianca è stata probabilmente il fulcro su cui si è basato l’editoriale del quotidiano Rodong Sinmun. Nell’articolo, il quotidiano ufficiale del partito unico sostiene che l’offerta statunitense “cerca di preparare il terreno per manipolare nuove risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che potrebbero includere un blocco marittimo se non accettiamo un dialogo il cui obiettivo è negoziare il nostro abbandono dell’arsenale nucleare”. “Non c’è alcun cambiamento nella nostra posizione”, fanno sapere da Pyongyang, “e non arretreremo nella nostra marcia per rafforzare la nostra forza nucleare”. Un rifiuto al dialogo preventivabile, ma che deve essere letto nell’ottica delle relazioni che intercorrono fra Corea del Nord e resto del mondo. Il governo nordcoreano ha investito da sempre tutto sulla capacità di ottenere un proprio arsenale nucleare. Per Kim Jong-un, essere accettato come leader di una potenza nucleare è il tassello che gli manca per ritenersi ampiamente assicurato riguardo a qualsiasi minaccia di guerra e, in generale, per sentirsi pienamente autonomo sia rispetto alla Cina sia rispetto ai suoi nemici del blocco Pacifico legato agli Usa. È quindi del tutto evidente che Kim Jong-un non potrà mai accettare un dialogo che preveda la denuclearizzazione del Paese, perché nel sistema nordcoreano, nucleare equivale a sopravvivenza del regime, della sua dinastia e, in sostanza, di tutto il sistema creato dopo la guerra di Corea.
Il rifiuto al dialogo apparso sul quotidiano ufficiale può essere letto, pertanto, non come un rifiuto in assoluto, ma come una controfferta, o, potenzialmente, anche come una minaccia. La scelta, ad esempio, di inserire nell’editoriale la questione del blocco marittimo, va letta anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Tillerson, il quale aveva appunto confermato di pensare a un blocco navale in caso di nuovo lancio di prova di un missile intercontinentale ad opera di Pyongyang. Non è dunque soltanto ideologia, ma una bocciatura nel concreto delle azioni del governo dell’amministrazione Trump. In tal senso, va anche osservato che la questione del blocco marittimo è tornata in auge, indirettamente, proprio nelle ore in cui veniva pubblicato l’editoriale da Pyongyang. Gli Stati Uniti hanno infatti proposto in sede Onu che il Consiglio di Sicurezza inserisce 10 navi cargo nella lista nera per il trasporto di merci in Corea del Nord. Come riportato da Afp, le 10 navi sarebbero: le navi-cisterna di Lighthouse Winmore, di Hong Kong, il Billions n.18, di Palau, i mercantili Xin Sheng Hai (Belize), Kai Xiang (Hong Kong), Ul Ji Bong 6, Rung Ra 2, Sam Jong 2 e Rye Song Gang 1 (dalla Corea del Nord), e le navi Yu Yuan (Cina) e Glory Hope 1 (identificate anche come Orient Shenyu, battente bandiera di Panama). Se nessuno dei 15 membri della commissione sanzioni obietterà entro giovedì notte, la lista nera sarà dunque aggiornata secondo quanto richiesto dagli Stati Uniti.