La situazione libanese si fa sempre più complessa e gli scontri di metà dicembre tra i manifestanti e le forze di sicurezza libanesi lo dimostrano. Se per molto tempo l’esercito non aveva toccato i manifestanti, adesso la situazione sembra essere mutata. Le forze dell’ordine hanno lanciato lacrimogeni contro alcuni manifestanti e vi sono stati decine di feriti.

Ma l’esercito di cui i manifestanti devono aver paura è un altro ed è quello di Hezbollah. Il partito di Dio sciita rimane uno stato dentro lo stato e questo è il maggiore rischio che i manifestanti libanesi, che protestano contro il sistema politico corrotto, settario e che non risponde al voto della gente ma a logiche geopolitiche internazionali, dovranno affrontare.

Il problema è chiaro a tutti, ma le ultime minacce giunte da Teheran rendono ancora più netto un messaggio già molto chiaro.

“Se il regime sionista commette il minimo errore contro l’Iran, distruggeremo Tel Aviv dal Libano”, ha minacciato Morteza Ghorbani, consigliere del comandante delle Guardie Rivoluzionarie in Iran, l’esercito ideologico della Repubblica islamica.  Le sue parole hanno subito creato una nuova crisi nel seno della già divisa classe politica libanese.

In una dichiarazione all’agenzia di stampa iraniana Mizan Online, riportata dal giornale Libanese di lingua francese L’Orient le Jour, il comandante iraniano dei Pasdaran ha affermato che l’Iran potrebbe distruggere Israele senza dover lanciare missili dal proprio territorio. “Se il regime sionista commetterà il minimo errore, distruggeremo Tel Aviv dal Libano”, ha avvertito. “Se il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei – ha aggiunto – ci ordina di lanciare i nostri missili, tutti gli israeliani si arrenderanno immediatamente”.

In Libano, riporta L’Orient le Jour, le parole di Ghorbani, hanno avuto l’effetto di una bomba.

Il Libano non è una colonia iraniana, hanno dichiarato molti politici.  Il Ministro della Difesa uscente, Elias Bou Saab (Free Patriotic Current), ha sottolineato che “se le parole attribuite a Ghorbani si rivelassero reali, sono angoscianti e inaccettabili”. Queste parole ha aggiunto, “violano la sovranità del Libano vincolata da relazioni amichevoli con la Repubblica Islamica”. “L’indipendenza libanese non deve in alcun caso essere compromessa”, ha commentato il Ministro dell’Informazione uscente, Jamal Jarrah (Corrente del futuro), che ha aggiunto “parole irresponsabili e pretenziose, che minano la sovranità del Libano e del suo popolo”.

Le gravi parole di Ghorbani arrivano in un momento delicatissimo per il paese che attualmente non ha più un governo a seguito delle manifestazioni di piazza che in tutto il Libano chiedono da due mesi un totale rinnovo della classe politica e un governo tecnico.

Nonostante il primo ministro Hariri si sia dimesso per venire incontro ai manifestanti, Hezbollah vede come il fumo negli occhi queste manifestazioni. Il partito sciita ha appoggiato l’incarico dato al politico sunnita, Hassan Diab, di formare il nuovo governo. Peccato che pur essendo sunnita, non ha l’appoggio dell’ex premier Hariri e della maggioranza dei politici sunniti. Il nuovo primo ministro è infatti appoggiato da Hezbollah, Amal ed i suoi alleati cristiani. Il che lo rende un pessimo candidato agli occhi dei manifestanti. Diab continua a sostenere che vuole formare un governo solo di tecnici, ma vista la posizione dei partiti che lo sostengono, sarà davvero difficile.

Hezbollah rimane il vero avversario di chi protesta, infatti il partito sciita non potrà mai accettare la fine di quello che i manifestanti considerano un sistema feudale e mafioso perché metterebbe termine al suo sogno di esportazione della Velayat e Faqui, la filosofia di governo inventata dall’Ayatollah Khomeini in Iran.

Oggi in Libano, grazie alla costituzione settaria, ogni comunità religiosa finisce per governare i suoi. Hezbollah accetta una democrazia formale fino a quando la legge gli permette di governare i suoi feudi. Luoghi dove la legge generale dello stato non vale più e dove si vive come se vigesse una repubblica islamica di impianto Khomeinista. Gli sciiti che non vogliono assoggettarsi devono andare a vivere in parti del paese o in zone della città in cui sono in maggioranza i cristiani, i sunniti o i drusi. Hezbollah infatti ha creato uno Stato nello Stato, con le sue forze armate, i suoi ospedali e le sue scuole. Un Stato in cui la legge non è quella statale, ma la volontà di Hezbollah.

Ecco perché un Libano in cui i partiti fossero laici e in cui il settarismo religioso non fosse il perno del potere, non permetterebbe mai a Hezbollah una tale politica antidemocratica. Il partito di Dio può andare avanti solo in questa democrazia di facciata che nasconde poi un mondo di feudi in cui ognuno detta la sua legge. Perfino la capitale Beirut è divisa in quartieri in cui la vita è diversissima a seconda che si viva in zone sciite, sunnite, o cristiane.

In fondo i politici di oggi sono in gran parte i signori della guerra di ieri. I protagonisti di una guerra che è finita senza una reale riconciliazione, ma con un tacito accordo per tornare a fare business e riunificare zone che erano state separate per quindici anni.

Quello che però non si aspettavano i politici era che una vasta parte della borghesia libanese, ma anche dei poveri, trovasse ormai insopportabili le loro divisioni strumentali, la corruzione e il loro continuo minacciare una nuova guerra civile ogni qual volta qualcuno metta in discussione la loro politica corrotta e settaria.

Certo non sarà facile per i libanesi onesti rompere questo sistema, anche per le ingerenze geopolitiche di Iran e Arabia Saudita che utilizzano il paese come campo di battaglia per le loro diatribe. Per l’Iran il Libano rappresenta lo sbocco sul mare Mediterraneo e la possibilità di attaccare indirettamente Israele. Grazie alla presenza militare in Siria e in Iraq e al controllo di Hezbollah, Teheran si è garantita il controllo di un vasto territorio. Anche se si tratta di un territorio turbolento, a novembre infatti le rivolte in Iran hanno causato forse più di 100 morti, in Iraq 400 e in Libano per fortuna solo la paralisi del paese. La Siria paradossalmente sembra ormai quasi più stabile dei vicini.

Anche l’Arabia Saudita, nonostante l’alleanza tattica con Israele, non sembra passarsela troppo bene, è impantanata in un conflitto contro gli Houthi, alleati di Teheran, in Yemen, la sua industria petrolifera ha subito un attacco terroristico, probabilmente per mano iraniana e l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nell’ambasciata saudita ad Ankara, hanno danneggiato molto la sua immagine. Solamente la quotazione in borsa dell’Aramco, la società nazionale del petrolio e gas, è andata molto bene.

Non sarà semplice per i giovani libanesi creare una forza politica che  sia capace di superare tutte queste problematicità.

Anche se questa seconda ondata di proteste era stata considerata quasi impossibile da tutti quelli che dichiaravano fallita la Primavera Araba e che pensavano che il collasso libico, la guerra siriana e la situazione egiziana, avessero convinto la gente che era meglio non protestare. Le proteste in Algeria, Sudan, Iran, Iraq e Libano dimostrano che la situazione è più complessa.

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