La città di Taranto è finita nuovamente al centro di una battaglia geopolitica tra Governo, Cina e Stati Uniti. Del capoluogo ionico si era già parlato durante l’estate, quando la compagnia turca Yilport aveva ottenuto una concessione di 49 anni per lo sviluppo del San Cataldo Container Terminal e promesso investimenti pari a 400 milioni di euro. L’accordo con la Yilport aveva anche aperto le porte della città ionica alla China Ocean Shipping Company, compagnia di Stato cinese impegnata nella logistica e con cui la controparte turca aveva firmato un’intesa per future collaborazioni a livello globale.
Questa volta ad allarmare gli Stati Uniti – e il Copasir – è stato l’annuncio della concessione per i prossimi 40 anni dell’area portuale ex Belleli di Taranto al gruppo Ferretti, storica azienda italiana detenuta per il 58 per cento dalla cinese Weichai. L’area, una delle più grandi del porto del capoluogo ionico, sarà bonificata dalla Sogesid – società legata ai ministeri di Ambiente e Infrastrutture – per essere poi affidata alla Ferretti, che ha promesso un investimento di 85 milioni di euro per la costruzione di una nuova fabbrica di motori per yatch. L’apertura dell’impianto dovrebbe garantire un impiego a 400 persone e fa parte del più grande piano del Governo per il rilancio dello scalo ionico, fortemente danneggiato dalla crisi dell’ex Ilva.
A guardare con sospetto gli investimenti cinesi a Taranto non sono solo gli americani – che stanno cercando di allontanare il più possibile Pechino dall’Italia – ma anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Il Copasir teme infatti che la presenza cinese nel porto possa rappresentare un pericolo per la base navale della Nato presente nel capoluogo ionico. Lo scalo di Taranto ospita infatti le forze della Standing Naval Forces (Snf), parte della più grande Very High Readiness Joint Task Force della Nato, e navi della missione Ue Irini.
Mesi prima dell’annuncio da parte del premier, il vicepresidente del Copasir, Adolfo Urso, aveva sottolineato l’importanza del porto di Taranto per la Marina italiana e per la Nato, definendo l’infrastruttura ionica “un nodo nevralgico per la sicurezza nazionale e anche per quella atlantica” e chiedendo maggiore chiarezza sugli investimenti cinesi nell’area. Durante la sua visita a Taranto, Conte ha però minimizzato le preoccupazioni del Comitato per la sicurezza circa la presenza di Pechino all’interno della compagnia Ferretti, affermando che “se c’è una partecipazione straniera ed abbiamo deciso, da oggi, che dobbiamo sovietizzare il sistema economico, non sono d’accordo”.
Il premier però sa bene che non può ignorare i timori degli Stati Uniti e ha infatti annunciato un investimento pari a 200 miliardi per l’ampliamento della Stazione navale Mar Grande di Taranto. Il progetto era già stato presentato durante l’estate dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Mario Turco. “Andremo a realizzare una importante infrastruttura portuale adeguata alle necessità d’ormeggio delle nuove unità navali maggiori ed in genere ai nuovi bisogni operativi della Marina militare”, aveva affermato il funzionario a fine luglio.
Gli investimenti renderanno ancora più importante l’infrastruttura tarantina, con ricadute positive anche sull’efficienza della Nato e della Task Force di azione rapida. Come affermato dallo stesso ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, l’ampliamento della stazione navale “contribuirà a consolidare ancor di più il ruolo strategico della città di Taranto, garantendo un sensibile miglioramento delle capacità logistiche, in risposta alle nuove esigenze operative e in piena armonia con il processo di ammodernamento della componente marittima”.
La mossa del premier però non basta a rassicurare gli alleati americani, né il Copasir, che ha promesso di vigilare sui futuri investimenti nel porto di Taranto per evitare che l’infrastruttura finisca nelle mani dei cinesi o di altre potenze straniere.