Il segretario di Stato americano Antony Blinken visita in questi giorni l’erede al trono della monarchia saudita Mohammad bin Salman. Anni di crescenti disaccordi hanno deteriorato le relazioni tra Washington e quello che in passato è stato un fondamentale partner strategico in Medio Oriente. Il presidente Joe Biden, che in campagna elettorale aveva promesso di trattare l’Arabia Saudita “dal pariah che è”, invia ora l’alto segretario a stabilizzare i rapporti con chi regola i prezzi del petrolio a livello mondiale.

La policy energetica

La visita di Blinken arriva proprio nella settimana in cui l’Arabia Saudita ha annunciato un nuovo taglio all’estrazione del petrolio, che limita la produzione da 10 milione di barili giornalieri a 9 – e ne alza di conseguenza il prezzo di mercato. La decisione del pezzo grosso dell’Opec deriva dalla stagnazione dei prezzi e dalla previsione di un imminente eccesso di offerta. Con il taglio, che verrà implementato a partire dal mese di luglio, i sauditi mirano a contrastare il calo dei prezzi del carburante e ad avvicinarsi agli obiettivi di diversificazione previsti nella Vision 2030. La riduzione delle risorse petrolifere immesse sul mercato è stata percepita come un’aggressione economica da Washington, e va ad aggiungersi al rifiuto dato da Riyad ad aumentare la produzione alla luce della crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina. L’innalzamento generale dei prezzi dell’energia che consegue da queste scelte costituisce un fattore di voto determinante per l’elettorato americano.

L’apertura ad est

A detta di alcuni esperti tuttavia, l’obiettivo di questo seconda missione diplomatica di alto livello – che segue la visita del mese scorso di Jake Sullivan, consigliere della Sicurezza Nazionale della Casa Bianca – è piuttosto quello di scoraggiare l’apertura politica ed economica verso la Cina. La collaborazione con Pechino viene erogata senza le condizionalità che invece caratterizzano i rapporti con Washington. In una fase di restringimento dell’influenza americana in Medio Oriente, nella quale si sta ristabilendo un multipolarismo piuttosto dinamico, gli Stati Uniti hanno assistito da lontano alla stretta di mano tra iraniani e sauditi, frutto della mediazione cinese. La Casa Bianca sembra percepire nettamente il rischio che il vuoto lasciato dietro di sé venga riempito in primis da Pechino, ma anche che Russia e Iran prendano il sopravvento nell’area. Per riguadagnare leva o anche solo conservare la propria posizione, Blinken dovrebbe evidenziare gli interessi che solo gli Stati Uniti possono avanzare per l’Arabia Saudita – oltre al “progresso sui diritti umani” che il portavoce del dipartimento di Stato ha definito come elemento che sostiene la relazione bilaterale tra i due Paesi.

Diritti umani

Sempre in tema di diritti umani, gli Stati Uniti hanno mal digerito la calda accoglienza che i rappresentanti sauditi hanno riservato al presidente siriano Bashar al-Assad al suo rientro nella Lega Araba. Per oltre un decennio, la dura condanna americana per le modalità repressive con cui la presidenza Assad ha gestito le proteste antigovernative ha scandito e congelato i rapporti tra gli Stati Uniti e il governo di Damasco. Durante la guerra civile, Riyad come Washington forniva armi ai ribelli siriani, ma questi trascorsi sembrano acqua passata ora che Assad ha riguadagnato il suo seggio alla Lega in quella che ha definito “riunificazione della fratellanza araba”.

Il tema dei diritti umani in Arabia Saudita non può essere affrontato senza citare il caso di Jamal Khasshoggi, il giornalista saudita critico della monarchia che è stato torturato e ucciso all’interno del consolato dell’Arabia Saudita ad Istanbul nel 2018. All’epoca dei fatti la sparizione di Khashoggi aveva macchiato la figura del regnante saudita de facto, fino a quel momento ritenuto più progressista e moderno rispetto a chi lo aveva preceduto. In seguito al caso Khashoggi, Mohammed bin Salman non ha più visitato né Europa né Stati Uniti.

Riponendo grandi speranze nell’importanza che gli americani riconoscono al rispetto dei diritti umani e delle libertà civili e politiche, un gruppo di cittadini statunitensi con legami familiari in Arabia Saudita hanno inviato una lettera a Blinken per esortarlo a richiedere l’immediato rilascio di prigionieri politici e attivisti e operatori umanitari dalle carceri saudite.

La normalizzazione con Israele

Con la missione del segretario Blinken, Washington si augura di convincere il governo saudita a stabilire rapporti diplomatici con lo Stato di Israele. Il tempismo non è dei migliori, dato che l’attuale governo di destra ultra-ortodossa e nazional-conservatore di Tel Aviv sta intensificando i livelli di violenza contro la popolazione palestinese e sta implementando progetti di espansione coloniale illegali nei territori occupati della Cisgiordania. “È nell’interesse degli Stati Uniti promuovere una normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Crediamo di poter e dover contribuire nel promuoverla. Sappiamo che non succederà presto, né facilmente, ma ci impegniamo a lavorare in quella direzione” ha detto Blinken a inizio settimana davanti alla “Commissione americana degli affari pubblici di Israele”, un gruppo di pressione fortemente a sostegno dello Stato d’Israele, il più forte tra le lobby presenti a Washington.

Per decenni l’equilibrio nella relazione tra Arabia Saudita e Stati Uniti è stato sbilanciato a favore dei secondi. Lo storico compromesso oil-for-security lasciava agli americani lo spazio di cercare petrolio altrove, mentre i sauditi non potevano cercare altrove gli arsenali militari che il Pentagono inviava a Riyad. Ora le carte sulla tavola mediorientale sono cambiate, il disimpegno militare la fa da padrone e le forniture di armi potrebbero non rappresentare più un elemento preminente nelle relazioni infra ed extra-regionali. Lo spazio di manovra a disposizione degli Stati Uniti dipenderà dalla loro capacità di adeguarsi alle nuove regole del gioco.

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