Eric Mamer, portavoce della Commissione Europea, ha avuto un gran bel da fare per correggere il tiro delle dichiarazioni di sabato scorso del presidente Ursula von der Leyen. L’ex ministro della Difesa di Angela Merkel si è unita alla governatrice della Bce Christine Lagarde nel ruolo di gaffeur in capo dell’Eurozona stoppando l’idea di una promozione dei cosiddetti “Eurobond” contro la crisi da coronavirus che sta mettendo in ginocchio l’Europa. Una posizione che ricorda più la posizione del governo tedesco di cui faceva parte fino a pochi mesi fa che quella di un’istituzione formalmente super partes.

Il francese Mamer, funzionario di lungo corso delle burocrazie comunitarie, nel punto stampa della Commissione ha provato a ricalibrare il tiro delle parole della von der Leyen, dovendo però ammettere che di fatto l’Ue è a un punto morto. “Alcuni Stati membri hanno sottolineato i vincoli specifici che hanno davanti quando si tratta di eurobond, coronabond” o strumenti simili. “Questi vincoli ci sono e non possiamo semplicemente ignorarli: fanno parte del dibattito”. Legittimissima sul piano formale l’idea che, laddove le decisioni sono da prendere con il meccanismo del consenso generalizzato, Paesi come Germania e Olanda non hanno in punto di diritto torto nel portare avanti il dibattito sull’attuabilità degli Eurobond il più a lungo possibile. Molto più problematiche, per non dire tragiche, le conseguenze politiche.

Nella dichiarazione in remoto ai giornalisti, Mamer ha dovuto tuttavia aggiungere, con una lunga perifrasi, che l’Unione europea non dispone degli strumenti politici decisionali per spezzare il dibattito nemmeno di fronte a una situazione emergenziale come quella attuale e a un contesto di polarizzazione del dibattito. “Bisogna trovare un consenso – prosegue – perché senza consenso non avremo un’uscita dell’Ue dalla crisi che sia coerente e solidale”. Il portavoce ritiene “normale che ci sia un dibattito: dobbiamo prendere il tempo per dibattere. Abbiamo agito immediatamente per dare agli Stati membri il modo per uscire dalla crisi”. Più che dibattito, tuttavia, le ultime settimane sono state contraddistinte da un grave muro contro muro tra chi ha insistito nell’ancorarsi alla linea del rigore e chi, Italia e Francia in testa, hanno provato a proporre soluzioni e risposte comuni alla crisi.

Oggetto, mai soggetto, delle relazioni internazionali e dei suoi sviluppi l’Unione europea si dimostra un’utopia antipolitica, totalmente inadatta a rispondere con flessibilità alle crisi del presente. Si dimostra che il problema dell’Unione stessa è la strumentalizzazione della sua complessa (e inefficace) architettura, da parte dei Paesi che al suo interno esercitano un ruolo guida e detengono un ruolo privilegiato. Pronti ad arroccarsi in uno sfruttamento continuo delle rendite di posizione. Fino a portare all’emersione del sospetto di voler sfruttare lo schianto dei Paesi più colpiti dal virus.

Come ha fatto notare l’analista geopolitico Pierluigi Faganuna volta di più “parrebbe che gli europei”, da intendere come gli inadeguati burocrati dell’Unione, “travolti dal cambiamento, non abbiamo una propria idea di dove andare e quindi come cambiare”. Nelle parole di un portavoce si riassume il senso dell’impotenza delle istituzioni politiche comunitarie. Sorpassate dagli eventi e dalla maggiore capacità di reazione delle istituzioni monetarie, dalla Banca centrale europea alla Banca europea degli investimenti (Bei). Infine bloccate dalla tendenza dei suoi vertici apicali a gestirle come le residenze di villeggiatura dei governi del Nord Europa.

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