Qualche settimana fa sul New York Times è apparso un articolo dal titolo eloquente: “A Taiwan, gli amici iniziano a rivoltarsi l’uno contro l’altro“. Nel pezzo, in sostanza, i sostenitori del Partito Progressista Democratico (Ppd) di Tsai Ing Wen – ma più in generale tutti quelli che considerano la Cina una minaccia contro la quale difendersi adottando la forza – venivano incolpati di seminare zizzania e diffondere il dissenso all’interno della società taiwanese.
Quell’editoriale portava la firma di Ying Tai Lung, ex ministro della cultura taiwanese, dal 2012 al 2014, sotto l’amministrazione dell’ex presidente Ma Ying Jeou. Per la cronaca, il signor Ma, in carica dal 2008 al 2016, fa parte del Kuomintang (Kmt), il partito nazionalista taiwanese che, in aperta contrapposizione con il Ppd, considera sì la Repubblica Popolare Cinese una minaccia, ma anche un attore con il quale fare i conti attraverso dialoghi e scambi reciproci. Ma è inoltre lo stesso politico che ha recentemente effettuato una storica visita in Cina, la prima di un ex leader taiwanese dalla fine della guerra civile cinese nel 1949.
Tornando all’articolo dell’ex ministro, c’è chi ha fatto notare come la questione taiwanese sia ormai immersa in una pesantissima guerra cognitiva, a metà strada tra la Cyber Warfare e la guerra psicologica. A peggiorare la situazione troviamo il fatto che praticamente tutte le fazioni in campo stanno attivando questa pericolosa leva.

Propagande incrociate
In un contesto così carico di tensioni globali quale è lo scacchiere di Taiwan, ogni singolo fatto, ogni informazione, può essere appositamente confezionata per essere lanciata contro l’opinione pubblica. Il fine ultimo è che la notizia in questione – in pratica un’arma – crei le conseguenze sperate, che spaziano dalla destabilizzazione dell’elettorato alla messa in circolo di fake news per alterare le decisioni politiche.
A differenza di quanto si possa pensare, un meccanismo del genere è in corso sia all’interno che all’esterno di Taiwan. Sull’isola, in vista delle prossime elezioni previste per il 2024, il Ppd e il Kmt giocano sul significato delle parole e adottano due strategie opposte.
Per i progressisti non c’è margine di dialogo né volontà di stringere compromessi con il governo comunista cinese, mentre i nazionalisti, pur senza rinunciare ai concetti liberali – e considerando che esista soltanto una Cina, e che la Repubblica di Cina (ovvero Taiwan) ospiti l’unico governo legittimo in carica – sono nettamente più propensi al dialogo. Non è un caso che, dal 2008, il Kmt, per abbassare le tensioni con Pechino, abbia appoggiato la politica dei tre no: no all’indipendenza, all’uso della forza e all’unificazione.
Al di fuori dell’isola, invece, c’è chi alimenta il pericolo di una possibile e imminente invasione cinese, probabilmente per spingere l’elettorato taiwanese a puntare sui progressisti. E ancora: mentre sui social network i profili filo Pechino evidenziano le fantastiche possibilità economiche derivanti da una onesta cooperazione con Taipei, account taiwanesi, al contrario, rilanciano voci di allerte e pericoli.
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La guerra dell’informazione
Ad un livello superiore troviamo voci e indiscrezioni messe sul tavolo da fonti più istituzionali. La Cina non ha sparato un solo colpo contro Taiwan, ma ha impiegato varie forme di guerra cognitiva, come la mobilitazione dei suoi media statali per diffondere specifiche informazioni e il dispiegamento di eserciti informatici per lanciare ondate di attacchi online e postare video di propaganda.
Allo stesso tempo, anche alcuni media taiwanesi riportano notizie false per alimentare la diffidenza nei confronti di Pechino. Uno degli ultimi episodi riguarda 400 presunti cinesi partiti dalla Cina come turisti e che, una volta approdati in Italia, avrebbero fatto perdere le loro tracce diventando fantasmi, probabilmente, sottolineavano vari articoli, per lavorare in nero o scappare dal loro Paese. La notizia era falsa, come falsa è l’altra recente notizia secondo cui gli Stati Uniti avrebbero aggiunto Taiwan al loro ombrello nucleare.
Molti media taiwanesi – dallo United Daily News all’Et Today, passando per China Television – non sono per niente affatto ostili alla Cina, risultano essere favorevoli alla riunificazione e anti indipendentisti e contrari a Tsai Ing Wen. E così, in un mare magnum di voci e indiscrezioni, il risultato è un tutti contro tutti che minaccia il futuro di Taipei.
Come afferma un rapporto dell’Università di Goteborg, in Svezia, nell’ultimo decennio Taiwan è risultato essere il Paese maggiormente preso di mira dai governi stranieri che diffondono informazioni false.