La Cina vuole una soluzione definitiva al conflitto israelo-palestinese e appoggia la creazione e il consolidamento dello Stato di Palestina. Sono questi i risultati dell’incontro del presidente Abu Mazen a Pechino con il leader cinese Xi Jinping, culmine di una visita del presidente palestinese di quattro giorni in Cina. Come riportato dall’agenzia Xinhua, il presidente Xi Jinping si è detto particolarmente interessato agli sviluppi della questione palestinese, e ha confermato che il governo di Pechino attuerà ogni sforzo per giungere a una pacificazione fra le due parti, anche ospitando una conferenza di pace come potenza garante della stabilità dell’area.

L’intervento cinese in Palestina rappresenta un fattore del tutto innovativo rispetto alla tradizione geopolitica del Medio Oriente. Finora, la Palestina è sempre stato un problema legato a mondo arabo, Israele e alleati di Tel Aviv, in particolare gli Stati Uniti. Nessuno riteneva credibile, o verosimile, che la Cina entrasse a gamba tesa in un conflitto così distante sia fisicamente sia culturalmente dalla politica cinese. La Cina ha sempre formalmente sostenuto la necessità della creazione di uno Stato palestinese, e non ha mai nascosto, anche in sede ONU, di appoggiare la causa del popolo palestinese nei confronti della politica israeliana. Tuttavia, il suo interessamento è sempre stato marginale, consapevole anche di entrare in un ginepraio d’interessi in cui la Cina è soltanto l’ultima superpotenza ad arrivare. Prima di lei, quasi tutte le potenze regionali e mondiali si sono interessate al problema, senza mai giungere a una vera e propria soluzione. Probabilmente anche per mancanza d’interessi reali.

Il fatto che Pechino decida di interessarsi alla questione palestinese, come ovvio, non è per spirito umanitario nei confronti della causa palestinese, né per fare uno smacco alla politica israeliana. Dietro questo interessamento per la stabilità del Medio Oriente e del Mediterraneo Orientale, ci sono gli interessi economici di una superpotenza che ha deciso di investire in un progetto geopolitico enorme quale la Nuova Via della Seta. L’idea di collegare la Cina all’Europa ripercorrendo, metaforicamente, l’antica rotta dei mercanti, significa in primo luogo doversi garantire delle strade sicure per il proprio flusso commerciale, che diventa, nel tempo, anche influsso politico. E questa via della Cina per l’Europa passa anche per il Medio Oriente, Palestina compresa. Per comprendere questo progetto, basti pensare che il governo di Pechino ha già investito molti milioni di euro in tutti i territori palestinesi, ed ha confermato ad Abu Mazen la volontà di continuare in questo progetto. Già nel 2016, Xi Jinping avviò un piano economico di sviluppo nei territori palestinesi per costruire pannelli solari che rifornissero di energia elettrica la popolazione: il tutto per un valore di circa otto milioni di euro. A questo, si è aggiunto adesso l’annuncio della volontà di costruire una zona industriale nei pressi della città di Tarqomia, oltre alla creazione di nuovi impianti di energia alternativa. E sono stati siglati importanti accordi nel settore del turismo per portare i cinesi a visitare i luoghi della Terra Santa sotto il controllo palestinese.

La Cina non ha mai negato di volere la costruzione di uno Stato palestinese. Arafat visitò più volte Pechino, così come ha fatto Abu Mazen. Nel 2012, la delegazione cinese in sede ONU votò a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale per il riconoscimento dello Stato di Palestina come Stato non-membro osservatore all’interno dell’Assemblea. Tuttavia, come sempre, la Cina non ha mai negato rapporti postivi anche con Israele, consapevole del ruolo fondamentale degli israeliani nella politica mediorientale e mondiale. La Cina non ha mai volto assegnare ad Hamas la definizione di organizzazione terroristica, ed ha spesso condannato Israele per la politica espansionistica nei territori occupati, ma al contempo ha sempre continuato a fare affare con Israele. Affari che continueranno ora con il progetto OBOR e che si traducono in contratti nei settori dell’energia, delle tecnologie e delle infrastrutture.

In questo interessamento per la Palestina, non può non osservarsi anche la volontà di stringere una maggiore alleanza economica con i Paesi arabi, per i quali lo scontro tra palestinesi ed israeliani rimane sempre uno snodo cruciale delle relazioni internazionali. Dall’Iran, alle monarchie del Golfo, fino anche ai Paesi del Mediterraneo Orientale, come la stessa Siria, ogni Paese a maggioranza musulmana sa che può contare sulla Cina per la risoluzione della questione palestinese: e questo è chiaramente un punto a favore per la strategia politica cinese. Gli interessi economici della Cina nel Golfo Persico sono enormi, tra petrolio, gas e rotte commerciali. Ma anche con gli altri Stati, la Cina intesse e sta intessendo ormai da anni una fittissima rete di interessi, che hanno anche la stabilizzazione della Siria come progetto a lungo termine, e per cui Pechino è pronta a investire due miliardi di dollari. Per fare accordi con questi Paesi e dimostrarsi una potenza amica, la Palestina è sicuramente uno strumento utilissimo. Anche a costo di irritare Israele.

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