Nelle acque del Mar cinese meridionale si respira un’atmosfera da guerra imminente. Se da decenni l’intera area è costellata di dispute marittime e territoriali incrociate, soltanto da pochi anni il clima si è ulteriormente riscaldato a causa delle tensioni tra Stati Uniti e Cina. I dossier aperti sono tanto numerosi quanto pericolosi per la stabilità globale. Accanto alle rivendicazioni dei vari Paesi che condividono la regione su scogli e isolette strategiche, troviamo infatti le dispute sul controllo esclusivo di ampie porzioni di mare e la questione taiwanese.

Chi controlla cosa? La Cina non ha dubbi: l’isola di Taiwan appartiene alla Repubblica Popolare Cinese – ovvero è una sua provincia da riannettere, con le buone o con le cattive – mentre la maggior parte del Mar cinese meridionale è appannaggio di Pechino in virtĂą della “linea dei nove tratti” (la “nine-dash line“). Questa linea a forma di U utilizzata sulle mappe cinesi, rappresenta le aree che il Dragone ha rivendicato come parti integranti del proprio territorio, le stesse che, al contrario, altri Paesi in loco rivendicano da decenni.

Mostrata per la prima volta su una mappa nel 1947, la linea dei nove tratti è a dir poco controversa per molti governi del sud-est asiatico, dato che l’area specificata come territorio cinese comprende una quantitĂ  significativa di spazio che altri soggetti considerano come propria piattaforma marittima. Insomma, le nove linee tratteggiate su cui si basa la Cina intrecciano le zone economiche esclusive di Filippine, Vietnam, Brunei, Malesia e Taiwan, è nessuno intende regalare agli altri un solo miglio.

La pressione della Cina

Come ha evidenziato Foreign Policy, la campagna di pressione navale della Cina contro le nazioni rivali nel Mar Cinese Meridionale ha raggiunto livelli senza precedenti da quando sono state revocate le moratorie annuali a breve termine sulla pesca. Adesso le navi cinesi sono molto piĂą esuberanti rispetto al passato e mettono spesso sotto pressione le imbarcazioni rivali (anche occidentali) che transitano da quelle parti. Non solo: hanno iniziato ad interrompere il rifornimento marittimo su un’isola sommersa rivendicata dalle Filippine.

Nello specifico, la Marina cinese ha bloccato i mezzi di Manila, impedendo loro di aggirarsi nei pressi del Second Thomas Shoal, una barriera corallina sommersa che fa parte della catena delle (contese) Isole Spratly, nel Mar delle Filippine occidentale. All’inizio di agosto, le Filippine hanno accusato il Dragone di utilizzare cannoni ad acqua contro le loro navi della Guardia Costiera.

Si è trattata di una grande dimostrazione di forza che ha fatto scattare non pochi campanelli d’allarme. La Cina, come anticipato, rivendica fondamentalmente quasi tutto il Mar Cinese Meridionale, affermando “sovranitĂ  indiscutibile” sulle isole Spratly, le isole Paracel e lo Scarborough Shoal attraverso la citata linea a nove tratti. Mentre tali affermazioni sono contestate da quasi tutti gli altri Paesi della regione, Pechino ha trascorso piĂą di un decennio a migliorare artificialmente atolli e barriere coralline in loco,  trasformandoli in aeroporti e porti.

Cambio di passo

La crisi, che è in corso da quando le autoritĂ  cinesi hanno revocato la loro moratoria annuale sulla pesca a metĂ  agosto, ha visto le forze della milizia marittima cinese, sostenute dall’Esercito di liberazione popolare, bloccare attivamente le navi di rifornimento della Guardia costiera filippina dallo sbarco sulla banchina dove le Filippine hanno periodicamente bisogno di rifornire la Brp Sierra Madre, una nave da sbarco di carri armati dell’era della seconda guerra mondiale. Ricordiamo che Manila ha piazzato la Sierra Madre in cima alla barriera corallina sommersa nel 1999, per contribuire a sostenere la sua pretesa legale su quel territorio.

Durante l’estate, la Cina ha riposizionato gran parte delle sue forze della milizia marittima per operare da Mischief Reef, un atollo nel Mar Cinese Meridionale che è stato sviluppato da Pechino e armato con missili antiaerei, a circa 25 miglia da Second Thomas Shoal. Come se non bastasse, il Dragone ha anche sostenuto le stesse milizie vicino a Sabina Shoal, un altro sito conteso, e all’isola di Thitu, la seconda piĂą grande delle Spratly. Il gigante asiatico ha usato i cannoni ad acqua e pure sparato anche laser accecanti contro le navi filippine.

La strategia di Pechino

La spinta contro il Second Thomas Shoal lascia presupporre che la Marina cinese possa sostenersi in modo piĂą efficace in mare, fino a raggiungere le isole contese nel Mar Cinese Meridionale. E proprio come l’aviazione cinese ha usato costanti incursioni nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan, come tattica per “bruciare”consumare” i piloti di Taipei, la Marina cinese starebbe usando la campagna di pressione in mare per esaurire le forze filippine.

In tutto questo, gli Stati Uniti stanno iniziando ad incrementare la loro presenza in loco, con il chiaro obiettivo di contenere le pretese cinesi, temendo che Pechino possa diventare una potenza marittima. Gli Usa hanno firmato trattati di difesa con Australia, Nuova Zelanda, Taiwan, Giappone e Corea del Sud, insieme alle alleanze semiformali con la Thailandia e il Vietnam. Questa rete è stata ulteriormente rafforzata a livello di Indo-Pacifico, con ulteriori accordi tra Washington e altri partner locali, come Giappone e Corea del Sud.

La “gabbia” diplomatica statunitense sembra tuttavia non scoraggiare Pechino. A frenare il gigante asiatico potrebbe invece essere una presenza più massiccia di mezzi Usa nel Mar cinese meridionale, a sostegno, in primis, di Filippine e Taiwan. Il punto è che nessuno vuole generare la scintilla che potrebbe portare ad un’escalation (non solo verbale). Gli equilibri del Mar cinese meridionale sono sempre più fragili.

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