“Sono venuto a dirvi che l’Europa sta tornando”. Basterebbe questa frase scandita a Pechino da Macron per comprendere l’importanza di questo viaggio non solo per il presidente francese, ma anche per la Cina e i suoi rapporti con la Francia e con l’Europa. Emmanuel Macron si è presentato in Cina con un obiettivo chiaro, per quanto non direttamente evidente, e cioè quello di farsi riconoscere quale unico leader europeo affidabile e in grado di rappresentare non soltanto il proprio Paese – che resta in cima ai suoi pensieri – ma anche il continente di cui fa parte e, in particolare, del blocco dell’Unione europea. E sembra proprio che Macron ci sia riuscito, dal momento che anche i media cinesi, organi ufficiali e privati, hanno sostanzialmente incoronato il giovane inquilino dell’Eliseo quale controparte del Vecchio Continente per la geopolitica cinese. Sono tanti i motivi per cui Xi Jinping e il suo governo hanno selezionato la Francia (e in particolare il suo presidente) come interlocutore privilegiato in Europa, non tutti voluti esplicitamente né dalla Francia né dalla Cina, ma che hanno condotto a un inevitabile riavvicinamento di Parigi e Pechino.

Negli ultimi due anni ci sono stati almeno quattro avvenimenti ad aver influito sull’ascesa di Parigi a ruolo di leader dell’Unione europea: la Brexit, le crisi di governo in Italia (e ora anche in Germania), l’elezione di Trump, la questione dell’accordo di Parigi sul clima, l’agenda europeista di Macron. Questi quattro motivi “occidentali”, unti all’inaugurazione dei lavori per la Nuova Via della Seta hanno creato la cronice adeguata per la naturale predisposizione di Pechino a vedere in Parigi un interlocutore a lungo termine. La Brexit, attendendo che dia i suoi frutti e che si ufficializzi l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ha tolto di mezzo Londra quale potenza del blocco europeo in grado di poter scalfire la volontà di leadership francese. Lo spazio lasciato vuoto dalla scelta britannica è stato immediatamente colmato dalla prepotenza di Macron, trasformando la Francia nell’unica potenza nucleare dell’Ue e nell’unico Paese dell’Unione a essere membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Due caratteristiche che, unite al discreto potere diplomatico e militare francese, fanno sì che la Cina guardi alla Francia con una certa dose di rispetto ma anche di credibilità. A questo, si aggiungono la cronica debolezza dei governi italiani, che cambiano troppo velocemente per i lunghi ritmi della politica cinese e che sono sempre troppo fragili, cui si unisce la crisi di governo in Germania, con Angela Merkel che fatica a trovare una soluzione risolutiva per evitare il destino di nuove elezioni. Con Roma debole e Berlino che si scopre fragile, Parigi ha le capacità di ergersi a unico Paese con un leader solido. E per Pechino questo è già un grande punto di vantaggio. In tutto questo, non va sottovalutato poi il ruolo “rivoluzionario” di Donald Trump all’interno dell’Occidente, con l’Europa che, mai come adesso, si trova su posizioni nettamente distinte da quelle dell’amministrazione americana. In questo gioco di divisioni, la Cina può entrare come coltello nel burro, proponendo solidità di progetti infrastrutturali, denaro, soluzioni ai problemi europei, e dimostrare di essere una potenza affidabile e che è consapevole dei problemi mondiali. E in questo, l’Accordo di Parigi sul clima ha un significato profondo, poiché è stata la certificazione non solo dello sganciamento dell’Unione europea dagli Stati Uniti, ma anche dell’unione d’intenti fra la Cina e l’Europa a dispetto dell’esuberanza di Trump.

In questa cornice di transizione geopolitica, Emmanuel Macron è diventato, per ragioni contingenti e per scelta strategica, l’unico presidente europeo di un Paese forte che può rappresentare anche l’agenda politica dell’Unione europea. E questo lo sanno anche in Cina, tanto che Xi Jinping ha spesso parlato di Francia e Unione europea, in riferimento a Macron, quasi senza accorgersi di unire uno Stato con un’organizzazione. La fusione dell’agenda politica macroniana con quella di Bruxelles e il considerare il presidente francese come rappresentante dell’Ue serve a Pechino per semplificare il suo rapporto con l’Europa ma anche come monito per tutti gli altri Stati europei, perché è evidente che questa “elezione” comporta il declassamento degli altri governi. E lo stesso Macron, nei suoi discorsi, ha parlato indistintamente a nome di Francia e di Europa, confermando l’immagine non di un leader esclusivamente nazionale, ma di un leader che si sta prendendo l’agenda politica europea. E l’apertura di Macron alla Nuova Via della Seta può essere solo il preludio a questi nuovi rapporti sino-francesi che, nel tempo, potrebbero trasformarsi, senza accorgercene, in rapporti sino-europei.

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