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Su Hong Kong è uscita allo scoperto anche la Cina, prima attraverso i tanti ammonimenti apparsi sulle pagine dei quotidiani vicini al Partito comunista cinese, poi con le dichiarazioni dei rappresentanti del governo. L’ultima voce a unirsi al coro è stata quella del ministero degli Esteri, che ha intimato ai diplomatici degli Stati Uniti a Hong Kong di smetterla di interferire nelle proteste cittadine. La situazione è più grave del previsto e, non a caso, il direttore dell’Ufficio d’affari cinese per Hong Kong e Macao, Zhang Xiaoming, ha detto senza mezzi termini che l’ex colonia britannica “affronta la più grave minaccia da quando la città è tornata sotto la sovranità cinese”. Zhang ha poi aggiunto che “Pechino è molto preoccupata per la situazione e sta facendo piani a livello strategico, tenendo conto di un quadro complessivo”. Insomma, una lunga perifrasi per dire che la Cina sta mettendo in fila le varie opzioni d’azione.

Pechino avvisa gli Stati Uniti

Il ministero degli Esteri ha citato un’indiscrezione riportata da vari media, secondo la quale un funzionario diplomatico americano del consolato generale degli Usa a Hong Kong avrebbe incontrato il leader del partito democratico Demosisto, Joshua Wong, già attivo nel movimento degli ombrelli che mise a soqquadro la città nel 2014. La Cina ha esortato l’ufficio statunitense a “prendere le distanze dai rivoltosi anti Pechino e a smettere di interferire negli affari di Hong Kong”. In tutta risposta, il Dipartimento di Stato Usa ha ribattuto precisando che “i rappresentanti del governo americano incontrano regolarmente vari rappresentanti in tutta Hong Kong e Macao”. Poi, riferendosi all’episodio citato dalla Cina, ha specificato che “quel giorno la delegazione ha incontrato esponenti politici di entrambi gli schieramenti, uomini di affari e diplomatici”.

Washington interferisce con le proteste di Hong Kong?

Poche settimane fa il Global Times aveva accusato espressamente gli Stati Uniti di star fomentando una rivoluzione colorata per colpire la Cina. Il quotidiano citava diverse prove per sottolineare gli stretti legami tra i funzionari e politici americani e manifestanti anti Pechino, a cominciare da presunti finanziamenti intascati da questi ultimi. Inoltre, alcuni gruppi di attivisti coinvolti nelle proteste hongkonghesi sarebbero stati addestrati dagli Stati Uniti. Insomma, tutte prove che inaspriscono le tensioni tra la Cina e gli Usa.

La strategia delle molteplici tensioni prolungate

Tuttavia è lecito interrogarsi sugli eventuali interessi degli Stati Uniti nell’intervenire direttamente nelle proteste di Hong Kong. Perché Washington dovrebbe interferire? A che pro? La Casa Bianca avrebbe diversi motivi per alimentare la ribellione contro Pechino. Prima di tutto il prolungamento della questione Hong Kong distoglierebbe Pechino dall’altro campo di battaglia, quello sulla guerra dei dazi. Infatti, tra un avvertimento e l’altro, Xi Jinping si trova nella spiacevole condizione di non poter scendere a patti con Trump, perché fare concessioni agli Stati Uniti indebolirebbe la sua posizione agli occhi dei manifestanti, e di non poter neppure annichilire i manifestanti affidandosi all’esercito, pena la scomunica della comunità internazionale. C’è poi da considerare il danno economico che le proteste stanno causando a Hong Kong e, di riflesso, a tutta la Cina. La strategia di sottoporre la Cina a molteplici tensioni prolungate potrebbe essere l’arma americana perfetta per ferire mortalmente il Dragone.

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