Il timore più grande di Madrid non è solo quello che gli indipendentisti catalani perseguano nel loro obiettivo di indire comunque il referendum separatista, ma che il contagio della secessione arrivi anche in quelle regioni dove si pensava di averlo sopito. Una di queste regioni, sicuramente la più pericolosa per la stabilità dello Stato spagnolo, è quella dei Paesi Baschi. La storia basca, da sempre, è stata caratterizzata dal separatismo. Lo è da molto prima che nascesse un sentimento simile in Catalogna e con radici culturali e identitarie decisamente più marcate rispetto a quelle che agitano le giornate di Barcellona e dintorni. Un separatismo che, per molti decenni, si è trasformato in violenza e che ha finito per ridurre l’identitarismo dei baschi all’anticamera del terrorismo dell’Eta. L’organizzazione terroristica basca ha insanguinato la Spagna per molto tempo e il ricordo di quei morti ancora aleggia non soltanto all’interno delle stanze del potere madrilene, ma anche e soprattutto nell’opinione pubblica della gente comune che vive in ogni parte della Spagna. Quello che si teme, adesso, in Catalogna, non è dunque tanto la “democrazia” di un voto popolare, ma soprattutto il rischio che esso si trasformi nell’inizio di un effetto-domino che inizi a colpire lo Stato di diritto, prima ancora che lo Stato centrale e che inizi a soffiare su quella brace incandescente che sempre è stata e sempre sarà la comunità basca.
Negli ultimi anni, il governo Rajoy e quelli prima di lui erano riusciti a segnare un tracciato di convivenza pacifica con i referenti dei governi baschi. La pacificazione fra le entità passava necessariamente per il disarmo dell’Eta e per l’accettazione dello Stato spagnolo come casa comune; e contemporaneamente, Madrid si impegnava a cedere sempre maggiore autonomia al governo di Vitoria facendo sì che esso si trasformasse in un esecutivo quasi autonomo dallo Stato centrale. Un percorso che aveva ottenuto i risultati sperati, ma che ora potrebbe essere inficiato dai fatti di Barcellona. Il quotidiano El Pais ha riportato le parole di Roberto Uriarte, professore di diritto costituzionale presso l’Università del Pais Vasco ed ex segretario generale di Podemos Euskadi, il quale ritiene che “per pura osmosi, i processi di mobilitazione in Catalogna possono generare anche qui processi di mobilitazione”. Ed ha aggiunto che “Ciò che può essere prodotto per contagio è da un lato una tendenza ad approfondire l’azione di Gure Esku Dago – una piattaforma a favore del diritto di voto nello stile dell’Asemblea nacional catalana (N.d.R.) – e, d’altro canto, renderà più evidenti le contraddizioni interne del Partito Nacional Vasco tra la parte istituzionale e quella indipendentista”. In sostanza, il rischio è il cosiddetto “contagio”, che potrebbe colpire il già delicato equilibrio delle relazioni dei Paesi Baschi con lo Stato spagnolo.
Quello che si teme è soprattutto l’unione d’intenti fra i gruppi più radicali di sinistra identitaria che animano sia la Catalogna che i Paesi Baschi. È lì, nell’universo della cosiddetta sinistra “Abertzale” basca – ovvero la sinistra patriottica – che si annidano i rischi di una convergenza fra i movimenti estremisti catalani e quelli che dalle parti di Vitoria non hanno mai completamente abbandonato non solo le velleità indipendentiste ma anche quelle puramente terroristiche. La presenza di Arnaldo Otegi – leader indipendentista basco uscito da poco di prigione per appartenenza a banda armata – nelle manifestazioni di Barcellona è un campanello d’allarme per tutti, non solo per lo Stato spagnolo, ma anche per gli stessi cittadini baschi e catalani. Ci sono dei giochi pericolosi dietro questa rinascita degli indipendentismi in Spagna, soprattutto perché è un Paese la cui storia recente è stata costellata di eventi tragici e di fratture interne che mai sono state veramente cicatrizzate dalla società iberica. I Paesi Baschi sembravano aver raggiunto una sostanziale calma, derivante da accordi solidi di governo, ma la miccia catalana rischia di riaccendere un fuoco che potrebbe deflagrare in qualcosa di più grande. La speranza del mantenimento della pace sociale nel Pais Vasco passa inevitabilmente tra le mani del lehendakari Urkullu, rispettato da Rajoy, dai partiti più radicali ed anche dalla stessa Unione Europea, tanto da essere stato ricevuto da Juncker a Bruxelles. Sarà la sua capacità di mediazione a decidere se il vento della secessione travolgerà anche i Paesi Baschi o se si fermerà di fronte alle certezze imposte dal suo governo.