Che un accordo tra Usa e Russia in questo momento potesse non funzionare, ce lo si poteva aspettare; un po’ meno le vicissitudini occorse nelle ultime ore, che danno uno spaccato manifesto e sconcertante, ma non del tutto sorprendente, di quella che è la guerra per procura tra Washington e Mosca nel contesto della crisi siriana.I bombardamenti compiuti dagli F-16 e dagli A10 statunitensi di stanzia in Iraq, che hanno provocato tra i 62 e gli 83 morti, oltre ad almeno 120 feriti, dipendentemente dalla fonte che si decide di considerare – questo secondo numero è riportato dal SOHR, l’Osservatorio siriano sui diritti umani, una ONG con sede a Londra -, hanno scatenato un caso che di diplomatico ha conservato soltanto la base di partenza. L’evenienza occorsa nella prima serata del 17 settembre fa presagire, dati anche i presupposti politici, che non si trattasse esattamente di un errore, ovvero che i militari americani fossero perfettamente a conoscenza del fatto che si trattasse di truppe facenti parte dell’esercito regolare della Repubblica Araba Siriana, i filo-governativi.Già in passato – e anche Reuters lo ammette senza vergogna -, Washington ha sostenuto i ribelli anti-Assad come le frange dei dissidenti di al-Nusra, cui giungevano anche gli armamenti della coalizione occidentale capitanata dagli Stati Uniti, proprio con l’obiettivo di portare a compimento la rivoluzione e il rovesciamento del Presidente legittimo, oggi sostenuto da Putin e dall’Iran. L’evento di sabato ha sollevato molti malumori nei vertici politici e militari russi, che non le hanno mandate a dire agli omologhi a Washington, sostenitori imperterriti della versione che prevede la colposità dell’atto.Il rappresentante permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite, l’Ambasciatore Vitaly Churkin, si dice sorpreso circa il tempismo con cui tali raid siano avvenuti, in quanto – sottolinea – gli USA non si siano mai preoccupati di ostacolare l’avanzata dello Stato Islamico quando questi attaccava, ad esempio, Palmyra. Sotto queste condizioni, e insoddisfatti dalle scuse fornite dal Rappresentante degli Stati Uniti all’ONU, Samantha Power, che ha definito l’attacco andato male come “a stunt” (la cui traduzione più verosimile – nonché grave – parrebbe essere “una bravata”), Mosca ha richiesto in nottata una convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza, per discutere le issues riguardanti il raid in primis, occorso in seguito al cessate il fuoco concordato da John Kerry e Sergey Lavrov nella giornata di lunedì 9 settembre.A ciò sono seguite le pesanti dichiarazioni di Maria Zakharova, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri russo che, molto stizzita anche dall’atteggiamento dell’ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro, di cui ha pesantemente criticato anche la scelta della parola “stunt”, ha deliberatamente condotto un attacco a Washington: sul suo profilo Facebook compare un post di denuncia contro la gravità dell’atto, chiosando senza mezzi termini che “La Casa Bianca aiuta lo Stato islamico”. L’espressione va sicuramente presa con le pinze, e può lasciare spazio alla libera interpretazione. Ma si può discutere sulla scelta di un soggetto piuttosto che un altro, soprattutto in un periodo piuttosto controverso per l’establishment politico americano, sempre più annaspante.A novembre si vota, e ormai si è capito da che parte sta chi. Le simpatie di Donald Trump per la Russia non si possono più nascondere, così come il Cremlino sa benissimo che il magnate americano sarebbe di gran lunga preferibile alla Clinton, notoriamente ostile alla riapertura di un dialogo con la Russia. Le parole della Zakharova hanno un sapore di propaganda elettorale, sempre con i dovuti pesi relativi alla retorica dei discorsi, ma perché “La Casa Bianca” e non “Washington”, o “Gli Stati Uniti”? In questo senso si vuole probabilmente sottolineare come il sostegno alle forze ribelli del Medio Oriente sia operato da una corrente che ha i suoi principali sponsor nei piani altissimi della politica americana, nelle persone del Presidente uscente e del suo candidato favorito, cui ormai rinnova continui endorsement e per la quale anche la first lady si è di recente pronunciata per un suo incondizionato appoggio a Hillary Clinton.La Russia ha dunque colto l’occasione per sferrare un attacco alla politica americana, di rimando ad un gioco sporco che Washington continua a condurre nei cieli della Siria.
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