Da decenni, storici di tutti il mondo combattono un’intensa, coraggiosa battaglia per rimuovere le persistenti incrostazioni di negazionismo riguardanti il genocidio armeno, particolarmente diffuse nel mondo accademico e politico della Turchia odierna. E non è un caso che, a causa della radicale contrapposizione sussistente all’interno della Turchia riguardo all’argomento, proprio alcuni eminenti studiosi turchi si siano particolarmente distinti nella ricerca delle prove volte a dimostrare, in maniera inequivocabile e inconfutabile, le responsabilità del governo dell’Impero Ottomano nei luttuosi eventi di inizio Novecento.Tra gli storici turchi, un posto di rilievo spetta sicuramente a Taner Akçam, che nel 1976 fu condannato in patria a dieci anni di prigione per aver discusso pubblicamente del genocidio e dall’anno seguente, dopo la sua fuga dal carcere, svolge un’indefessa attività di ricerca che lo ha portato in diverse università europee e statunitensi. Già nel 2004, Belinda Cooper in un articolo sul New York Times elogiava Akçam , oggi 64enne,per la sua opera volta a “rompere il muro di silenzio sul genocidio armeno” e a creare una nuova consapevolezza in grado di consentire alla Turchia di poter dialogare e fare i conti con il proprio passato. Un’opera che per la sua realizzazione incontra ostacoli decisamente tenaci dato che, come scritto da Akçam nel suo saggio From Empire to Republic “la politica dello Stato [turco, nda] sul genocidio armeno è di negazione, mentre l’atteggiamento della società è di distacco. La società ha cominciato molto lentamente a prendere posizione, benché con diverse motivazioni e tendenze. Per questo, quando esaminiamo il rapporto della Turchia con il genocidio armeno, dobbiamo sviluppare un discorso che non consideri solo lo Stato, ma anche i vari segmenti della società”. L’opera di Akçam a livello accademico, attualmente condotta dalla Clark University di Worcester, Massachusets, è stata a lungo affiancata dal lavoro condotto, alla luce dei medesimi intenti, dal giornalista turco-armeno Hrant Dink, che a inizio Anni Duemila ha scritto a più riprese importanti editoriali sul suo quotidiano Agos, nei quali lo sforzo per costruire una memoria attiva sul genocidio veniva letto nell’ottica della necessità di un’unità interna alla società della Turchia e veniva pensato come un lavoro di consapevolezza, che sarebbe stato penalizzato dalla scelta di alcuni Paesi europei, come la Francia, di promuovere leggi vietanti il negazionismo del genocidio armeno, ritenute da Dink inefficienti per lo sviluppo di un dibattito costruttivo. L’omicidio di Dink nel 2007 testimoniò la durezza delle resistenze a un dialogo pacifico e sereno esistenti all’interno delle frange più fortemente nazionaliste e revisioniste della società turca, che al tempo stesso vedono come fumo negli occhi i lavori di Akçam, oggigiorno giunti a una fase cruciale.Ad annunciare la svolta nei lavori è stato, una volta di più, il New York Times: Tim Arango, lo scorso 22 aprile, ha infatti riportato in un articolo la notizia del possibile ritrovamento, da parte di Akçam, della “pistola fumante” che potrebbe definitivamente smontare il castello delle rivendicazioni negazioniste. In un archivio del Patriarcato Armeno di Gerusalemme, infatti, Akçman ha scoperto un documento inviato nel 1915 da un ufficiale turco della città di Erzurum, Behaeddin Shakir, nel quale venivano chiesti i dettagli delle deportazioni e delle uccisioni degli Armeni nell’Anatolia Orientale. La notizia, riportata in Italia da Tempi, segnala un possibile salto di qualità nelle difficoltose attività di ricerca di fonti originarie ottomane che confermino quanto attestato da migliaia di testimonianze dirette, inchieste giornalistiche e cronache di diplomatici del tempo e che rappresentino una prova definitiva e inequivocabile anche per la società turca. Esse, come ricordato dallo studioso Norman Naimark, sono riscontrabili in numero decisamente inferiore rispetto alla grande mole di documenti riguardanti il dispiegamento dell’Olocausto ritrovabile negli archivi del Terzo Reich.Lo sforzo degli storici, a cui in Italia hanno collaborato autori come Marcello Flores con monografie di alto livello sul Medz Yeghern, è fondamentale affinché possa svilupparsi, in Turchia e nel resto del mondo, un dibattito scientifico sulle cause scatenanti di uno degli episodi più tragici del Novecento e, soprattutto, un’aperta consapevolezza riguardo eventi che per troppo tempo sono rimasti sepolti nel dimenticatoio. A questo proposito, ci sembra significativo segnalare un’importante iniziativa organizzata a Milano: dal 27 aprile al 24 maggio, infatti, al Memoriale della Shoah sarà ospitata una mostra fotografica sul genocidio armeno, durante il cui svolgimento si terrà una serie di conferenze nei quali verranno discusse alcune, importante tematiche concernenti i massacri iniziati nell’aprile 1915 e le loro conseguenze.
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