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Le elezioni parlamentari più importanti della storia dell’Ungheria postcomunista si approssimano inesorabilmente, perché il 2022 è alle porte, e la terra dei magiari è in subbuglio. Un subbuglio che né l’arrivo del caldo estivo né il persistere della pandemia hanno potuto domare. Un subbuglio che vede Fidesz, partito di Viktor Orban e colonna portante della traballante internazionale conservatrice, impegnato in unus contra omnes, ovvero contro l’Unione Europea, gli Stati Uniti e l’internazionale liberal-progressista.

Non è dato sapere se Orban riuscirà a vincere questa battaglia in solitaria – il fenomeno euroscettico si è sgonfiato, il prezioso supporto di Washington è venuto meno con il ritorno dei Dem alla Casa Bianca e l’unico alleato di spessore è Varsavia –, ma una cosa appare sicura come l’oro: i prossimi mesi saranno caratterizzati da un’intensificazione della guerra culturale tra liberal e conservatori della Magyarország e da un incremento delle interferenze euroamericane nella politica interna ungherese.

Davide contro Golia

I satelliti ruotano attorno ai pianeti come questi ultimi ruotano attorno alle stelle. E nella Terra, come nello spazio, vi sono satelliti, pianeti, orbite, moti di rivoluzione, galassie, supernove e buchi neri. Nel caso in questione, che è quello della piccola-ma-ribelle Ungheria di Fidesz, gli osservatori della stazione spaziale internazionale stanno assistendo ad un fenomeno più unico che raro: un satellite che cerca di smarcarsi dal proprio pianeta di appartenenza.

L’esito di questa lotta sui generis del Davide conservatore contro il Golia liberal sarà noto soltanto nel 2022, quando i magiari saranno chiamati alle urne per esprimere una sentenza inappellabile sull’era Fidesz, prolungandola o seppellendola, e fino ad allora regneranno il disordine e l’imprevedibilità. Nulla di inaspettato, comunque, perché avevamo previsto in tempi non sospetti la trasformazione dell’Ungheria nella trincea della “guerra mondiale” tra liberal e conservatori e, più nello specifico, il crescendo di bellicosità della questione arcobaleno – che è e resta la battaglia culturale più sentita della nostra epoca, trattandosi dello spartiacque che consacrerà l’entrata definitiva dell’Occidente nell’era postcristiana.

È in questo contesto di spostamento di truppe e armamenti dal fronte americano – chiuso con la vittoria dei Dem sui Repubblicani – a quello europeo – dove Bruxelles, libera dalle pressioni trumpiane, ha elevato il livello dello scontro con le forze euroscettiche e conservatrici – che vanno inquadrate la controversia sulla legge magiara sulla propaganda gay, il recente sbarco di Tucker Carlson a Budapest, la stretta su università, media indipendenti e organizzazioni nongovernative, la trasformazione del prestigioso Collegio Mattia Corvino nell’anti-Open Society e, ultimo ma non meno importante, le fortissime dichiarazioni di Orban sul pericolo interferenze elettorali.

Il pericolo viene da Washington?

Lo avevamo predetto ed è accaduto: l’amministrazione Biden avrebbe posto l’Ungheria al centro della nuova agenda estera degli Stati Uniti coerentemente con il proprio obiettivo di abbattere le fondamenta di quell’internazionale conservatrice che, nella metà degli anni Dieci del Duemila, era riuscita ad eleggere un proprio uomo alla Casa Bianca e a travolgere una parte considerevole dell’Unione Europea (e dell’America Latina).

Perché l’Ungheria, per quanto effettivamente piccola ed apparentemente irrilevante dal punto di vista geopolitico, è il luogo dove tutto ha avuto inizio. Dove la rivoluzione del populismo di destra ha cominciato la sua corsa. Dove conservatori e tradizionalisti, accomunati dal desiderio di sostituire il modello liberal-democratico con uno democratico di tipo cristiano-illiberale, hanno trovato consenso e supporto, cioè terreno fertile.

E che l’amministrazione Biden volesse punire il governo Orban per aver funto da incubatore del populismo di destra, minacciando la sopravvivenza del progetto globale di egemonia politico-culturale dell’universo liberal, lo avevamo intuito lo scorso gennaio, alla vigilia della cerimonia di insediamento della nuova presidenza. Perché diversi erano i nomi del dream team di Biden guidati dalla ferrea volontà di arrivare ad un redde rationem con Orban, il campione dell’illiberalismo di destra, da Antony Blinken a William Burns. E perché sospettosa (ci) era parsa l’improvvisa sollevazione di Hollywood contro Fidesz.

I fatti successivi ci hanno dato ragione: gli Stati Uniti, dopo essere entrati a gamba tesa nella questione sulla legge magiara contro la propaganda gay, sono a loro volta stati indicati da Orban quali una delle minacce principali alla continuazione dell’esperimento Fidesz. Nei giorni scorsi, invero, il primo ministro ungherese ha dichiarato che “l’internazionale di sinistra farà tutto il possibile, e anche di più, per cambiare il [nostro] governo”. E il come e il quando, secondo Orban, sembrano essere abbastanza certi: interferenze elettorali (ma non solo) e 2022.

Le interferenze, sostiene il primo ministro magiaro, avranno sicuramente luogo e proverranno da diverse parti, anche dagli Stati Uniti. Uno scenario che, però, non preoccupa il longevo padrino di Fidesz, fiducioso del fatto che “prima o poi gli americani realizzeranno che i problemi dell’Ungheria debbono essere risolti dagli ungheresi” e che “un partner stabile ma non amato è meglio di uno nuovo ed incerto”.

Sarà la storia a dare ragione (o torto) alla cieca fiducia riposta negli ungheresi da Orban, l’abile statista che, al di là di ogni previsione, ha gradualmente riconvertito Budapest in una (piccola) potenza regionale i cui tentacoli si stendono dall’ex spazio imperiale al mondo turcico, traversando Mongolia e sinosfera. Una piccola potenza che negli anni recenti ha attaccato frontalmente i progetti egemonici dell’asse francotedesco per l’Unione Europea, iniettato linfa vitale nelle vene dell’internazionale conservatrice e che oggi, 2021, si appresta a tentare l’azzardo più rischioso: un disaccoppiamento culturale altro scenario da noi delineato nell’immediato post-presidenziali americane – propedeutico ad una parziale desatellizzazione della luna Ungheria dal pianeta Occidente.

Seguire gli accadimenti che avranno luogo in Ungheria da qui al prossimo anno, dunque, è più che importante – è indispensabile –, perché qui si scriverà uno dei capitoli conclusivi della guerra mondiale tra tradizionalisti e progressisti, tra liberal e conservatori e tra sovranisti e mondialisti. Come nel 1686, anno dell’assedio della piccola Buda da parte dell’agguerrito e attorniante impero ottomano, il fato dell’Europa verrà nuovamente deciso nella terra dei magiari.

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