“C’è poco da riflettere”. Con questa espressione in due battute Mario Draghi in parlamento ha liquidato ogni perplessità da parte europea sulle nuove misure anti contagio. L’Ue poche ore prima aveva rimarcato il proprio rammarico per la scelta dell’Italia, primo Paese a introdurre drastiche limitazioni negli spostamenti. Anche i cittadini europei devono presentare un tampone, pur avendo il vaccino fatto o pur dimostrando di essere vaccinati. Norme introdotte in nome della “normalità da difendere” di fronte all’avanzata della variante Omicron. Con quella sua espressione Draghi non ha lasciato spazio a dubbi sulla sua intenzione. Ma al di là del merito delle misure, a colpire è soprattutto la forma con cui il capo del governo ha difeso le sue scelte. Il presidente del consiglio scelto come “garanzia” data all’Europa sulla spesa dei fondi per la ricostruzione, nelle ultime settimane si è mostrato quanto meno ostile verso Bruxelles. Anche sui migranti Draghi ha detto a chiare lettere che l’Ue ha lasciato da sola l’Italia. Come mai proprio adesso tra Palazzo Chigi e le istituzioni comunitarie è subentrato un certo attrito?

Le misure prese dall’Italia

In Israele già da giorni le autorità politiche hanno deciso la linea dura. Non si entra nello Stato ebraico, a meno di motivi urgenti e con l’obbligo comunque di un tampone negativo e una settimana di quarantena. La variante Omicron ha scatenato il panico in molte cancellerie. In attesa dei dati sulla pericolosità e letalità, l’alto grado di trasmissibilità dimostrato dalle cifre fornite dal Sudafrica, lì dove la mutazione è stata scoperta, ha allarmato e non poco. L’Italia si è messa sulla stessa scia di Israele. Ma c’è una particolarità. A differenza del governo di Naftali Bennett, non c’è una vera e propria lista nera di Paesi. Semplicemente chiunque arrivi dall’estero, Unione Europea inclusa, alle nostre autorità deve mostrare un tampone negativo pur in presenza dei documenti che attestano l’avvenuta vaccinazione. A livello politico tutto questo si traduce con una sospensione del trattato di Schengen. Il corpo normativo cioè che regola la libertà di circolazione di mezzi e persone tra i vari Paesi comunitari.

Per questo l’Ue ha mostrato titubanze e irritazione per la scelta del governo Draghi. Anche durante la prima fase della pandemia da Bruxelles più volte è stato chiesto agli Stati di non blindare le frontiere, salvo poi arrendersi e dichiarare la sospensione in tutta l’Ue delle norme di Schengen. Il tema è tra i più delicati. La libertà di circolazione rappresenta uno dei pilastri dell’Europa comunitaria. Per questo la commissione ha spesso sollecitato, anche in passato, a non sospendere il trattato se non in casi di estrema urgenza. L’Italia ufficialmente non lo ha congelato, ma nei fatti sì. E, soprattutto, la decisione è stata presa in autonomia e senza consultare altri Paesi o le stesse istituzioni di Bruxelles. Un paradosso, sempre sotto il fronte politico. A innescare il braccio di ferro tra Italie e Ue è un governo, quello di Draghi, nato in teoria come il più europeista degli ultimi anni.

Il nodo Schengen

La scelta italiana è arrivata a ridosso di uno dei passaggi più delicati riguardanti proprio il trattato di Schengen. Mercoledì la commissione ha presentato le proposte di modifica dell’intero corpo normativo. Il principio guida della riforma riguarda la possibilità da accordare agli Stati membri di introdurre misure di controllo lungo i confini in alternativa alla sospensione totale del trattato. Piuttosto quindi che arrivare al congelamento di Schengen e alla limitazione della circolazione, come previsto dal documento attuale in caso di necessità, un governo potrebbe intervenire in modo più attenuato. Il tutto tenendo conto anche delle conseguenze che maggiori controlli provocherebbero agli Stati vicini. L’attuazione di misure alternative alla sospensione entrerebbero in vigore, seguendo le linee di modifica della commissione europea, in caso di pericoli alla sicurezza o pericolo di natura sanitaria. C’è poi un punto importante riguardante l’immigrazione. Sempre secondo il “nuovo” trattato di Schengen, maggiori controlli potrebbero essere attuati se dovessero essere riscontrati maggiori ingressi di migranti nell’ambito dei cosiddetti “movimenti secondari”.

Quelle rotte cioè tutte interne all’Ue che portano richiedenti asilo dal Paese di primo approdo a un altro Stato. Movimenti vietati dal regolamento sull’immigrazione di Dublino, il quale assegna soltanto al Paese di primo approdo l’onere dell’accoglienza e della valutazione della domanda di asilo. Con il trattato di Schengen riformato per l’Italia sarebbero dolori. Da noi i migranti arrivano e, il più delle volte, aspirano ad arrivare in Francia o in Germania. Roma, a dir la verità, ha spesso chiuso un occhio. Ma i movimenti secondari hanno spesso attenuato l’emergenza migratoria nel nostro Paese. Adesso tutto questo potrebbe non essere possibile. Non appena francesi e tedeschi dovessero notare un incremento di movimenti secondari, potrebbe essere nelle loro facoltà alzare i confini e respingere verso l’Italia i migranti. Un problema appunto per le autorità italiane, ma anche uno schiaffo politico per il nostro governo. Non solo Draghi, ma anche i precedenti presidenti del consiglio hanno più volte posto l’accento sulle modifiche al trattato di Dublino e sulla necessità di evitare che l’Italia gestisca da sola l’emergenza per via della sua posizione di Paese di primo approdo. L’Europa non solo non ha mai accolto queste richieste, ma con la modifica di Schengen potrebbe isolare ulteriormente Roma.

L’atteggiamento di Draghi verso l’Ue di questi giorni e le misure di chiusura anti Covid, potrebbero essere dunque motivate dall’opposizione alle modifiche di Schengen. L’Italia in tal modo vorrebbe far pesare in sede comunitaria l’insofferenza per le ultime mosse di Bruxelles. Anche perché la partita per l’approvazione della riforma del trattato è ancora tutta aperta e deve passare al vaglio del consiglio e dell’europarlamento.