L’Italia è i Balcani nella stessa maniera in cui è il Mediterraneo. Perché se è vero che i Balcani sono la seconda casa dell’Italia, lo è altrettanto che il Mediterraneo è la trincea in cui i popoli italici hanno storicamente combattuto per salvaguardare la sicurezza fisica dello Stivale, affrontando le insidie provenienti da ognuno dei punti cardinali presenti nella stella dei venti.
Quando si scrive di Italia nel Mediterraneo non si dovrebbe pensare al mare stricto sensu, quanto ad una realtà geopolitica terracqua che, trascendendo i confini marittimi, si estende dalle colonne di Ercole al golfo Persico, traversando e toccando Africa settentrionale, corno d’Africa, Vicino Oriente e penisola arabica. E penetrare a scopo stabilizzativo l’area di cui sopra, altresì nota come Mediterraneo allargato, è stato uno dei fini principali dell’agenda estera italiana sin dall’epoca della guerra fredda.
Perché il Mediterraneo, in quanto confine liquido, necessita imperativamente di essere protetto da una cinta muraria, dunque fisicamente solida e più difficilmente valicabile, eretta nel nome di una profondità strategica stileggiata concentricamente. È in questo contesto di azione-per-prevenzione che si inquadrano i longevi sodalizi con Algeria, Libia e Tunisia, il nostro crescente interesse nei confronti del Sahel, la nostra presenza in Libano e i partenariati tattici con la Turchia e le principali potenze dell’area arabica, in primis Arabia Saudita e Qatar. E in quest’ultima arena, che rappresenta l’estrema periferia orientale del Mediterraneo allargato, l’Italia ha messo radici anche nei luoghi più insospettabili: il regno del Bahrein.
Noi e il Bahrein
Bahrein è il nome di un microstato arcipelagico localizzato nella parte orientale della penisola arabica, contermine ad Arabia Saudita e Qatar e circondato dalle acque calde del golfo Persico. Steso su una superficie di 765 chilometri quadrati – ovvero più o meno la metà di quella di Roma, che è pari a 1.285 chilometri quadrati – e abitato da poco più di un milione e 600mila abitanti, questo regno a lieve maggioranza sciita rappresenta uno dei più importanti crocevia del Medio Oriente, essendo il luogo in cui si incontrano e scontrano gli interessi delle contigue petromonarchie wahhabite, dell’Iran, di Israele e dell’asse turco-qatariota.
Lontana dai sopraccennati giochi di potere, in cui immergersi sarebbe inutilmente periglioso, nel piccolo Bahrein si trova anche l’Italia, quivi presente in maniera massiccia e multiforme. Descritto dall’attuale sottosegretario di Stato al ministero degli affari esteri, Manlio di Stefano, come un “partner tradizionale e affidabile dell’Italia in Medio Oriente”, il Bahrein ha inaugurato ufficialmente un’ambasciata a Roma a febbraio dell’anno scorso, durante una cerimonia avvenuta nell’ambito di un’importante visita di lavoro del principe ereditario Salman bin Hamad al Khalifa – terminata con la firma di sei accordi da 330 milioni di euro, di cui uno coinvolgente l’Eni –, ed è frequentemente al centro di iniziative bilaterali volte a favorire interscambio e investimenti.
Il sodalizio è particolarmente forte nell’economia – siamo il principale partner commerciale del Bahrein appartenente all’area Ue –, ma è esteso in una grande varietà di aree ed ambiti, tra i quali cultura – l’università La Sapienza di Roma ha stipulato una convenzione con la Bahrain Federation of Expatriate Associations per il potenziamento della didattica e della ricerca nell’area scientifica delle culture e della tolleranza tra i popoli – e diplomazia – l’Italia aderisce al formato di dialogo di Manama (Manama Dialogue), mentre il Bahrein è un forte sostenitore del Rome Med dell’Ispi –, e va estendendosi in un settore strategico quale è il turismo – come dimostrato dalle aperture dei voli Manama-Roma e della Manama-Milano.
Un legame da preservare
Il Made in Italy è sinonimo di alta qualità, in Europa come nel resto del mondo, e il Bahrein non fa eccezione. Ospiti fissi delle iniziative conoscitive concepite dal nostro governo per investitori e importatori stranieri interessati al mercato italico, i bahreniti hanno dimostrato con i fatti il loro forte apprezzamento per i prodotti e i servizi offerti dalle eccellenze nostrane. Dominanza commerciale a parte, invero, il Bel Paese figura tra i primi contributori all’ambizioso piano di crescita e sviluppo per il lungo termine di Manama, ribattezzato Bahrein’s Economic Vision 2030, al cui concretamento stanno lavorando quasi duecento privati nostrani.
La strategia italiana in Bahrein pare abbastanza chiara: fare leva sulla triade commercio-investimenti-cultura con l’obiettivo duplice di diffondere prosperità, indi conquistando la fiducia del reame, e di mantenere un basso profilo per quanto concerne il coinvolgimento bahrenita nella competizione tra grandi potenze, in maniera tale da evitare scelte di campo inutilmente perniciose – essendo noi legati a doppio filo con ognuno dei belligeranti. Proseguire su questo percorso potrebbe rivelarsi una carta vincente nel medio-lungo periodo, anche perché il 2030 è alle porte e i bahreniti, se non verranno abbandonati a metà dei lavori, ricorderanno sicuramente chi li ha aiutati a traslare in realtà i loro sogni di micro-egemonia economica: l’Italia.