Il nuovo piano sull’immigrazione messo a punto dai ministri dell’Interno dell’Ue lo scorso 10 giugno, dovrebbe trovare la sua applicazione a partire dalla fine di luglio. A dirlo è stata una fonte europea la quale ha svelato un retroscena reso noto da Marco Bresolin su La Stampa. In particolare, almeno 22 Paesi, compresi tre non comunitari, avrebbero dato il proprio benestare al meccanismo di redistribuzione dei migranti arrivati in Europa. Gli altri daranno invece supporto logistico o finanziario. Più che di un piano si potrebbe parlare di un esperimento. Infatti la redistribuzione per come concepita a giugno resterà in vigore un anno e avrà carattere temporaneo. Per il Vecchio Continente si tratta comunque di una sfida, in cui non mancano le incognite soprattutto per l’Italia, con il nostro Paese già in passato “illuso” di ricevere una solidarietà poi mai concretizzatasi.
Il piano di solidarietà “volontaria”
La strategia approvata il 10 giugno viaggia sulla stessa linea degli altri piani sull’immigrazione concepiti dall’Europa negli anni precedenti. Ossia valutare un meccanismo di solidarietà volontaria, in primis sulla redistribuzione. Un tema quest’ultimo molto dibattuto nell’ultimo decennio e che è stato più volte posto sul piatto dai Paesi della sponda mediterranea. Il principio è molto semplice: fare in modo che i migranti sbarcati in Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta vengano smistati in altre nazioni comunitarie. L’applicazione però è sempre stata molto complicata. Roma in primis ha sperato più volte in un meccanismo di solidarietà obbligatoria. Ma ci sono molti governi, soprattutto del nord e dell’est Europa, che di quote obbligatorie di migranti non ne hanno mai voluto sentir parlare. Il compromesso trovato in alcuni summit, come in quello di Malta del settembre 2019, ha previsto quindi una solidarietà volontaria. Ma in quell’occasione solo pochi Paesi avevano aderito.
La redistribuzione è quindi rimasta sulla carta. Dopo il piano del 10 giugno invece dovrebbero essere almeno 22 i governi che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere migranti. E questo perché il meccanismo previsto porta i Paesi a compiere una scelta: farsi carico di una quota di migranti oppure pagare chi sta affrontando un’emergenza migratoria. Con l’adesione di 22 Paesi, tra cui anche Norvegia, Svizzera e Liechtenstein che non fanno parte dell’Ue, a fine luglio per la prima volta si dovrebbe partire con il “nuovo” meccanismo di solidarietà. La redistribuzione cioè dovrebbe essere realtà. Ma ci sono molte incognite in merito, soprattutto per l’Italia.
I timori sulla redistribuzione
La prima incognita riguarda la necessità stessa di avere un piano provvisorio di redistribuzione. Nel momento di presentarlo il 10 giugno scorso, la commissaria agli affari interni dell’Ue, Ylva Johansson, ha parlato di “svolta storica”. In realtà si tratta di una grossa pezza che l’Europa vorrebbe mettere a un sistema capace da anni di fare acqua da tutte le parti. Perché Bruxelles ancora una volta non è intervenuta sul nodo centrale della questione, ossia la riforma del trattato di Dublino. Il documento cioè che assegna al Paese di primo approdo l’onere dell’accoglienza e della domanda di asilo di chi arriva. Un meccanismo che nel corso degli ultimi anni soprattutto ha messo in difficoltà Italia, Spagna, Grecia e tutti i vari governi che si fanno carico delle varie emergenze migratorie.
La seconda incognita riguarda la modalità della redistribuzione. Quando cioè viene riconosciuta la possibilità di far scattare la solidarietà e in che modo un Paese può chiedere l’intervento europeo. Vero che fonti europee parlano di uno occhio di riguardo verso i Paesi affacciati sul Mediterraneo, così come è altrettanto vero che il meccanismo dovrebbe essere gestito da Frontex e dall’Agenzia Europea per l’asilo. Ma alcuni passaggi sembrerebbero al momento rimasti nel buio dell’ambiguità. E non è un caso, come trapelato da fonti diplomatiche, che l’Italia vorrebbe far inserire una postilla in cui si parla di “corsia preferenziale” nella redistribuzione per i migranti salvati in operazioni in mare.
Ad ogni modo, a luglio il piano dovrebbe iniziare a essere attuato. Solo allora si potrà parlare della sua effettiva portata sull’emergenza e sulla gestione degli sbarchi. Dubitare, visti i precedenti, fino a quel momento sarà, soprattutto da parte italiana, più che legittimo.