Il quotidiano La Repubblica ha avuto l’opportunità di esperire un’intervista a distanza con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, che è stata tradotta e pubblicata integralmente nella giornata del 12 ottobre sul sito della presidenza. L’intervista, lunga e multitematica, sta venendo ripresa sia in Italia sia all’estero e ne pubblichiamo di seguito quella parte di contenuto utile a capire le relazioni internazionali secondo Baku, le recenti tensioni con Teheran, l’alleanza con Roma, la guerra con Erevan, la ricostruzione dei distretti liberati del Karabakh e molti altri argomenti.
Il Karabakh: dalla guerra alla rinascita
Parlando della tregua nel Karabakh, raggiunta lo scorso novembre grazie agli sforzi di mediazione della diplomazia russa, il capo di Stato dell’Azerbaigian ha voluto esprimere soddisfazione per lo status quo post bellum. Nonostante qualche problema persista, come “alcuni incidenti minori” e “gli stranieri che entrano nel territorio [del Karabakh] illegalmente nella zona dei mantenitori della pace russi”, la pace regna laddove storicamente è stata guerra.
La pacificazione del Karabakh, a meno di un anno di distanza dalla fine del conflitto, ha permesso a Baku di adottare “un programma di investimenti speciali per i territori liberati”, focalizzato principalmente su infrastrutture ed energia, che quest’anno ha magnetizzato “esattamente un miliardo e trecento milioni di dollari”. Un capitale ingente, che le autorità azerbaigiane stanno impiegando per portare l’energia elettrica in “diecimila chilometri quadrati di territori liberati”, per “costruire strade, ferrovie” e “due aeroporti” oltre a quello di Fuzuli – costruito in soli otto mesi.
Grandi infrastrutture a parte, Baku ha inaugurato i cantieri di futuri edifici ad uso abitativo e cominciato a traslare in realtà i piani di sviluppo urbanistico per due città. L’obiettivo di tutto ciò, spiega Aliyev, “è il ritorno degli ex rifugiati nelle loro case il prima possibile”. E l’Italia, all’interno di questo contesto trasformativo, che riflette la nuova geografia del potere nel Caucaso meridionale, riveste un ruolo-chiave. Il nostro Paese, infatti, “è stato uno dei primi ad essere coinvolto” nel processo di ricostruzione del Karabakh: il secondo, subito dopo la Turchia. Un coinvolgimento che, ha esplicato Aliyev, “non è avvenuto né per caso né per coincidenza, ma per scelta deliberata”.
Le imprese nostrane, al momento, “sono coinvolte in diversi progetti, tra i quali la costruzione di musei della memoria, musei dell’occupazione e musei della vittoria”. Oltre all’edilizia, comunque, c’è (molto) di più. Ci sono, ad esempio, “una compagnia italiana che ha già siglato un contratto relativo alla fornitura di energia all’intera regione” e un’altra che sta investendo “nella realizzazione di prodotti agricoli”.
Il rapporto con l’Europa
A proposito del rapporto tra l’Azerbaigian e il Vecchio Continente, Aliyev ha voluto soffermarsi sull’importanza del Corridoio meridionale del gas, del quale il gasdotto transadriatico (TAP) rappresenta una porzione significativa. L’Italia, grazie al Tap, potrebbe ricevere “otto, e forse anche di più, miliardi di metri cubi [di gas]”.
Le consegne di gas naturale verso l’Italia e l’Europa, ha continuato Aliyev, potrebbero e dovrebbero aumentare nel prossimo futuro. Baku, infatti, non soltanto ha scoperto nuovi giacimenti di gas, ma pianifica di “estrarre di più da quelli esistenti”. Al tempo stesso, nella consapevolezza del cambiamento climatico e della necessità della diversificazione, le autorità stanno investendo nelle rinnovabili.
Per quanto riguarda le relazioni con Bruxelles, invece, Aliyev ha spiegato di aver notato “un grande interesse nel potenziale del nostro sistema di trasporto”, probabilmente legato al fatto che l’Azerbaigian sta diventando “un importante hub eurasiatico per i trasporti, con infrastrutture moderne, e che possiede delle vie di comunicazioni diversificate con il proprio vicinato”. Un hub del quale “l’Unione Europea pianifica di far parte”.
Dall’Iran all’Afghanistan
I talebani sono alla ricerca di riconoscimento e legittimità a livello internazionale sin da quando hanno (ri)conquistato Kabul. L’Azerbaigian, per quanto concerne questo spinoso dossier, non essendo geograficamente prossimo alla nazione afghana, non sente né l’esigenza né l’impellenza di un intervento diplomatico. Secondo Aliyev, infatti, “i vicini dell’Afghanistan dovrebbero decidere per primi”.
Nel prossimo futuro, ad ogni modo, se e quando la diplomazia azerbaigiana noterà “tendenze positive, attitudine positiva e segni di potenziale cooperazione” da parte talebana, le cose potrebbero cambiare, perché Baku, abituata al pragmatismo, “risponderà adeguatamente”.
Un altro fascicolo di attualità, che questa volta riguarda l’Azerbaigian da vicino, è la recente escalation con l’Iran. Aliyev ha spiegato all’intervistatore di considerare erronea la lettura mainstream, secondo la quale gli iraniani sarebbero infastiditi dall’asse adamantino israelo-azerbaigiano, ricollegando e riconducendo il tutto ad una questione territoriale.
Nello specifico, secondo il capo di Stato azerbaigiano, la controversia sarebbe legata all’utilizzo sospettoso ed eccessivo di una strada transnazionale – collegante Azerbaigian, Karabakh e Armenia – da parte iraniana. Quando “il numero dei furgoni dall’Iran al Karabakh è cresciuto, noi l’abbiamo considerato come un assalto, una mancanza di rispetto deliberata”. Le reazioni successive, che gli azerbaigiani ritengono “assolutamente legittime”, hanno dato vita al circolo vizioso di cui il pubblico mondiale è venuto a conoscenza.
La difesa dalle accuse dei Pandora Papers
Il nome di Ilham Aliyev compare nella grande inchiesta scandalistica dell’ultimo anno, i Pandora Papers, e La Repubblica, perciò, ha dedicato l’ultima domanda a questo argomento. Il capo di Stato azerbaigiano, dopo aver preannunciato che “questo tipo di cose mi accompagna da molti anni”, ha spiegato che “di volta in volta, a seconda della congettura politica, alcune forze in Occidente cercano di utilizzare questo genere di insinuazioni, o mezze verità, per screditare l’immagine dell’Azerbaigian o minarne la posizione”.
Proseguendo, Aliyev ha aggiunto che “è chiaro che questa non è un’investigazione giornalistica, è chiaro chi c’è dietro ed è chiaro perché l’Azerbaigian è apparso lì. Non so a proposito degli altri, forse anche loro hanno fatto qualcosa di sgradito ad alcune forze in Occidente, ma per quanto riguarda l’Azerbaigian è certo che la vittoria nella seconda guerra del Karabakh ha sorpreso molti – e non gli è piaciuto. Volevano un Azerbaigian debole, dipendente, occupato, continuamente alla ricerca di assistenza per risolvere il conflitto. E oggi che l’Azerbaigian ce l’ha fatta da solo, ha sconfitto l’Armenia, quei circoli in Occidente che sono molto legati all’Armenia si sono arrabbiati molto. Ce lo aspettavamo”.
Aliyev, inoltre, ha voluto insistere su un fatto: non ha mai nascosto di essere benestante. La sua biografia, del resto, “è conosciuta: è quella di un affarista di successo”. E affarista lo è stato per molto tempo, prima di darsi alla politica. Una volta divenuto presidente, ha continuato Aliyev, la fortuna costruita negli anni dell’imprenditoria è stata trasferita ai figli, “che hanno continuato gli affari, investendo principalmente in Azerbaigian e anche all’esterno, e tutta la loro attività affaristica è trasparente, oggetto di verifica internazionale”.
In definitiva, ha ribadito Aliyev prima di accomiatarsi, “forse il 5% [di ciò che è scritto nei Pandora Papers] corrisponde al vero, [mentre] il resto è esagerazione”. Un’esagerazione che “non significa niente” né per il capo di Stato né per gli azerbaigiani, i quali sono a conoscenza delle attività imprenditoriali degli Aliyev, anche perché una parte del loro denaro, tra le varie cose, viene impiegato in attività caritatevoli, nella costruzione di alloggi e, più di recente, è stato messo a disposizione “per la ricostruzione del Karabakh e di tutte le moschee di Agdam, Shusha e Zangilan”.