La Russia è tornata ufficialmente in Africa, ponendo fine ad un periodo di assenteismo durato dai primi anni Novanta ai primi anni Dieci del Duemila, e sta cercando di costruire una presenza consistente, articolata ed estesa sull’intero continente, dal Cairo a Capo di Buona Speranza. Nonostante le difficoltà riscontrate nel Corno, il Cremlino ha conseguito dei risultati di rilievo nell’Africa occidentale e centrale e sta portando avanti un’oculata strategia di espansione nell’estremità meridionale del continente.

La Russia nell’Africa meridionale

Il volume dell’interscambio commerciale fra Africa e Russia è andato crescendo costantemente a partire dal 2010, sebbene i numeri descrivano un fenomeno ancora marginale e dal potenziale inespresso. Le esportazioni russe nel continente sono quasi triplicate dal 2010 al 2019, passando da un valore di 5 miliardi di dollari ad uno di 14 miliardi, ergo aumentando il loro peso nel totale dei beni commercializzati dal Cremlino nel globo dall’1,5% al 3,3%.

Un’analisi dei numeri può essere utile a comprendere come e quanto l’Africa meridionale rivesta una posizione secondaria nell’interscambio tra la Russia e il continente: 11 miliardi e 700 milioni di dollari di beni sono stati importati ed esportati da e verso l’Africa settentrionale nel 2019, mentre il corrispettivo con l’Africa meridionale è stato di 5 miliardi di dollari nello stesso anno. Un divario rilevante ed esiziale, in considerazione dell’importanza che l’Africa meridionale riveste nell’agenda estera dell’Africa, e al cui appianamento tenterà di lavorare il Centro per le esportazioni russe negli anni a venire. 

I numeri relativi al commercio, ad ogni modo, non dovrebbero essere misinterpretati: il Cremlino è più presente di quanto si possa immaginare. In Madagascar, ad esempio, la Russia ha giocato un ruolo determinante in occasione delle parlamentari del 2019, sostenendo una pluralità di candidati – incluso il vincitore Andry Rajoelina – e condizionando l’opinione pubblica a mezzo di strategie manipolative basate sull’impiego di stampa tradizionale e nuovi media.

Lo Zambia, che, come altre nazioni africane deve alla Russia la propria indipendenza, non ha mai realmente cessato di essere presente nell’agenda estera del Cremlino; lo dimostrano i numeri sull’interscambio commerciale – aumentato progressivamente dal 2007 ad oggi, sebbene in maniera timida e intermittente, e passato dai 18 milioni di dollari del 2015 ai 32 milioni del 2020 – e sulla presenza zambiana nelle università russe – 600 i frequentanti nel 2020 e più di 4mila i laureati negli ultimi anni, “alcuni dei quali impiegati in posizioni di rilievo nel governo [zambiano]”.

Un settore in cui le due nazioni cooperano attivamente e intensamente è il nucleare civile: la Rosatom, invero, sta formando i futuri esperti del settore, allocando borse di studio per prepararsi negli istituti russi, ed è stata preannunciata la prossima costruzione del Centro Russia-Zambia per la scienza e la tecnologia nucleare.

La Russia nello Zimbabwe

Non meno rilevante è la presenza russa nello Zimbabwe, legato al Cremlino da una Commissione intergovernativa per la cooperazione nell’economia, nel commercio, nella scienza e nella tecnologia, dove operano dei giganti come la Alrosa – settore diamantifero – e sono in procinto di entrare degli attori come Rosatom, Rosgeolofia, Uralchem e Rostselmash.

Un ruolo importante nel mantenimento in ottima salute dei rapporti fra le due nazioni, risalenti all’epoca della guerra in Rhodesia, viene giocato dalla collaborazione nei campi della cultura e dell’istruzione, alla luce delle borse di studio offerte annualmente dal governo russo agli universitari zimbabwiani. Notevole, inoltre, la cooperazione in sede internazionale, specie a livello di Nazioni Unite, dove Mosca e Harare si sostengono reciprocamente sin dai primi anni Duemila, unite sia dalla storia passata (la guerra alla Rhodesia) sia dalla storia recente (le sanzioni occidentali contro entrambi i Paesi).

La qualità dei rapporti russo-zimbabwiani non è mutata nel dopo-Mugabe. Anzi, sembra che il Cremlino abbia giocato un ruolo nel durante e dopo della detronizzazione morbida del longevo capo di Stato, consapevole dell’avvenuto mutamento dei tempi e della necessità di un ricambio al potere. Gli eventi successivi hanno dato ragione agli strateghi russi: i negoziati pre-esistenti per l’entrata dell’Alrosa nel giacimento diamantifero di Darwendale – alcune stime lo ritengono il secondo più consistente del mondo, possibile fonte di quasi tre miliardi di dollari di guadagni da qui a metà secolo – hanno subito un’accelerata e si sono conclusi con lo stabilimento di un’associazione temporanea con la Zimbabwe Consolidated Diamond Company, le cui operazioni dovrebbero cominciare quest’anno.

Il sodalizio con il Sud Africa

Quello fra Russia e Sud Africa avrebbe dovuto essere uno dei grandi sodalizi del 21esimo secolo. Legati da una visione multipolare e dall’appartenenza al blocco dei BRICS, nonché da un passato di lotta all’apartheid, i due Paesi, in realtà, non hanno mai sviluppato pienamente il potenziale di una cooperazione estesa ed avanzata. Questo, attenzione, non significa che il dialogo sia ad un punto morto, o che non siano mai stati tagliati dei traguardi di spessore, ma che, molto più semplicemente, si sarebbe potuto e dovuto fare di più.

Il Sud Africa, del resto, è legato alla Russia da un partenariato strategico globale, ha spalancato le porte a delle entità legate al Cremlino come Afrique Panorama e AFRIC (Association for Free Research and International Cooperation), coinvolte in attività di interferenza elettorale e condizionamento dell’opinione pubblica nel resto dell’Africa meridionale, ha siglato un controverso accordo con la Rosatom per l’acquisto di diverse centrali nucleari e negli anni recenti ha prodotto capi di Stato come Jacob Zuma e Cyril Ramaphosa, accomunati e caratterizzati dalla retorica e dall’azione antioccidentale.

E mentre gli effetti del partenariato strategico tardano a manifestarsi e gli accordi sul nucleare faticano a decollare, e hanno giocato un ruolo primario nel determinare la caduta di Zuma – perché infangato da accuse di corruzione e personalismi –, il commercio e i flussi di investimenti tra i due BRICS continuano a risultare più che irrilevanti: nel 2017, a titolo esemplificativo, la Russia rappresentava un risibile 0,4% nel commercio del Sud Africa con l’estero e non figurava tra nella classifica dei principali investitori stranieri.

Alcuni eventi, comunque, sembrano suggerire che il Cremlino, nella cognizione di non aver fatto fruttare adeguatamente il partenariato strategico, sia intenzionato a dedicare maggiore attenzione al Sud Africa. L’interscambio commerciale è aumentato del 6,3% dal 2018 al 2019, anche grazie ad una diversificazione delle merci compravendute, la pandemia di Covid19 ha spronato il Sud Africa ad acquistare sia lo Sputnik V sia l’Avifavir e alcune eccellenze russe vanno mostrando un profilo più visibile nel mercato sudafricano, come il Gruppo Renova (che ha investito nel manganese), Rusgeologia (che sta cooperando con PetroSA nella ricerca di idrocarburi da estrarre) e Bateman (fornitore di attezzatura e tecnologie per le ditte sudafricane del minerario e del metallurgico). La strada da fare, comunque, è ancora lunga ed è tutta in salita: ci sono quindici anni di basso dinamismo da recuperare.