Il Kosovo potrebbe presto avere un suo esercito. Questo è il messaggio lanciato negli ultimi giorni da Pristina, ed è una chiamata alle armi che desta preoccupazione non soltanto nei Balcani, ma anche, inevitabilmente, in Europa e fra tutte le potenze interessate al quadro politico balcanico, in primis Stati Uniti e Russia.La volontà di creazione di un esercito regolare per il Kosovo non è un’idea nata negli ultimi giorni, ma è un progetto che il governo di Pristina aveva già ampiamente valutato nel 2014, anno in cui furono molteplici i comunicati dell’allora primo ministro Thaçi, oggi Presidente della Repubblica, con i quali era stato affermato non soltanto il desiderio dell’istituzione di un ministero della Difesa per il Kosovo, ma anche la formazione, nell’arco di un quinquennio, di un esercito regolare. Già da allora, le velleità belliche di Pristina avevano destato notevoli preoccupazioni sia fra i suoi avversari che fra i suoi alleati.In particolare, sul fronte alleato, la Nato, alleata della neonata repubblica kosovara ma soprattutto artefice della stessa nascita della repubblica, aveva da subito bloccato l’istituzione di un esercito regolare che sostituisse la Forza di Sicurezza del Kosovo, in quanto avrebbe rappresentato un cambiamento radicale nell’operatività di quest’ultima, posto che la Ksf doveva rappresentare una forza non militare, di polizia, utile nella stabilizzazione del territorio kosovaro. Una forza quindi nata con l’obiettivo di costituire la forza di sicurezza della repubblica e che avrebbe dovuto rappresentare una possibilità di integrazione per le diverse minoranze entiche in una forza dell’ordine dotata di poteri più ampi.Il tutto, ovviamente, sotto la guida e le protezione della Nato, che si sarebbe impegnata nella sua costituzione e nel suo addestramento, ma che avrebbe in sostanza mantenuto il controllo militare sul territorio e sul confine con la Serbia. Sul fronte avversario, la Serbia ha naturalmente sempre condannato in maniera ferma l’idea kosovara di un esercito regolare. I motivi sono chiaramente dettati da due fattori: in prima battuta, la ferrea volontà di Belgrado di non riconoscere l’indipendenza del Kosovo, autoproclamatosi indipendente dalla Serbia senza al cuna legittimazione da parte di quest’ultima; ma soprattutto, la creazione di un esercito regolare avrebbe portato ad una rivoluzione nelle relazioni con Pristina e negli accordi con i quali Serbia e Nato si erano accordati per il mantenimento di una sudata pace.Ora, dopo tre anni da quelle dichiarazioni, il problema è tornato a farsi sentire con forza. Il governo kosovaro ha annunciato l’attivazione del processo di regolarizzazione delle forze di sicurezza kosovare, piano che potrebbe iniziare già nella seconda metà del 2017. Questa scelta, secondo Pristina, è stata dettata dalla necessitò di costituire una difesa in grado di tutelare la repubblica dalle operazioni congiunte sul territorio serbo di truppe di Belgrado e russe. Fonti kosovare hanno infatti dato ampio risalto alle manovre svolte sul territorio serbo dall’aeronautica di Mosca, ed hanno fatto sì che fossero queste manovre a diventare la leva su cui fondare le rinnovate pretese belliche. Durissime le reazioni da parte di tutti gli schieramenti.La Nato, con le parole del segretario Stoltenberg, ha immediatamente chiesto al presidente Thaçi di fermare qualsiasi decisione per la formazione di un esercito regolare, minacciando lo stesso impegno della Colazione Atlantica sul territorio in caso di proseguimento del progetto. Belgrado ha immediatamente chiesto l’intervento della comunità internazionale per bloccare qualsiasi tentativo di regolarizzazione della KFS. Per il governo serbo, questo atto rappresenterebbe senza alcun dubbio la fine di ogni tentativo di normalizzazione delle relazioni con Pristina, nonché il primo passo verso un’escalation di tensione che comporterebbe anche il ritorno di uno scontro bellico fra serbi e kosovari. La Russia, dal canto suo, ha tutto l’interesse a tutelare l’alleato serbo, in quanto pedina fondamentale nello scacchiere balcanico. Se il Kosovo ha rappresentato la vittoria territoriale più importante della NATO nei Balcani, in quanto ha sradicato una parte i territorio al più importante alleato di Mosca nella regione, adesso, la decisione di Pristina di negare validità alla risoluzione della comunità internazionale con cui si limitavano i compiti della KSF potrebbe essere un grandioso trampolino di lancio per rafforzare non soltanto la solidità dell’alleanza con Belgrado, ma anche un punto a favore fondamentale nella guerra diplomatica fra Washington e Mosca. Il governo serbo ha infatti chiesto subito l’intervento di Unione Europea, Stati Uniti e Russia per fermare sul nascere questa tragica scelta kosovara, e Putin potrebbe sfruttare immediatamente la debolezza della geopolitica americana per riaffermare come sia un fedelissimo alleato atlantico a voler interrompere il difficile processo di pace nei Balcani, rivelandosi ancora una volta come guida nella pacificazione dei conflitto in cui è coinvolta la Nato.
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