Il Kosovo di nuovo in piena crisi istituzionale. La caduta del governo di Pristina ha messo il paese balcanico di fronte all’unica via percorribile: tornare alle urne. Isa Mustafa, leader musulmano del partito della Lega Democratica del Kosovo, ha subito, nella scorsa settimana, un pesante voto di sfiducia da parte del Parlamento che ha costretto alle sue dimissioni e alla conseguente, e naturale, crisi di governo. Ora si tornerà a votare entro quarantacinque giorni, come chiede la Costituzione kosovara.La crisi è nata perché il governo di Pristina era accusato dalle opposizioni di non seguire più il suo mandato politico, ma di aver intrapreso una via che lo stava conducendo a fare scelte totalmente avulse dal consenso popolare. Il governo di Mustafa era ormai bloccato da mesi su questioni in cui era impossibile trovare una maggioranza forte all’interno del Parlamento. Ed erano, e sono tuttora, temi d’importanza non solo interna ma anche internazionale, che non potevano esimersi dall’averse un ampio consenso sia parlamentare sia dell’elettorato. Il confine con il Montenegro, gli accordi con l’Unione Europea, la nascita dell’esercito regolare, i rapporti con la minoranza serba, sono tutte questioni di fondamentale importanza, che il governo aveva deciso di risolvere senza l’accordo con la maggioranza.Per quanto riguarda il confine con il Montenegro, la questione è sempre stata particolarmente dalla parte del Kosovo e delle opposizioni. Il tema riguarda le cosiddette “Montagne Maledette”, linea di demarcazione che venne ratificata a Vienne nel 2015. Mentre da parte montenegrina ci fu subito l’ok del Parlamento, in Kosovo insorsero tutte le opposizioni, accusando il governo di aver ceduto al Montenegro migliaia di ettari di terreni. Chiaramente, per una nazione appena nata, l’idea che un governo ceda territori a un vicino rappresenta un problema non di poco conto. Inoltre, l’accusa è quella di essersi basati su confini disegnati dalla costituzione di Milosevic, quando il Kosovo era ancora parte della Serbia, e non su quelli jugoslavi degli anni Settanta. Gli Stati Uniti, alleati e protettori del Kosovo, hanno subito imposto al governo il rispetto degli accordi di confine con il Montenegro, ma le opposizioni hanno messo a segno una serie di azioni che hanno scosso profondamente il dibattito politico kosovaro.Anche la tutela della minoranza serba è stata al centro del dibattito politico kosovaro e della crisi di governo. La legge che tutelava le minoranze serbe non era stata assolutamente accettata dall’opposizione, che anzi, ritiene che si debba totalmente eliminare la possibilità di tutelare una minoranza considerata come nemica dell’indipendenza del Kosovo. Lo status di tutela dei serbi è stato imposto non solo dagli accordi tra Belgrado e Pristina, ma anche dall’Unione Europea, che ha chiesto ogni sforzo possibile al governo del Kosovo per rispettare i principi europei della tutela delle minoranze.Proprio per questa via “unilaterale” del primo ministro Mustafa, che ha intrapreso azioni totalmente opposte a quanto volute dalle opposizioni, il malcontento è iniziato a serpeggiare in Parlamento ed anche nella stessa maggioranza di governo. Prova ne è stata che la mozione di sfiducia, votata da 78 dei 120 deputati dell’unica camera del Parlamento kosovaro, è stata approvata anche dal partito del presidente Thaci, il Partito Democratico.Saranno quarantacinque giorni di fuoco, quelli che vivrà Pristina, ma con lei, è certo, saranno vissuti da tutti i paesi dell’area balcanica. I paesi dei Balcani, inutile nasconderlo, non possono essere considerati dei Paesi a compartimenti stagni. Al contrario, ogni crisi istituzionale rappresenta l’inizio di un effetto domino che incendia tutta la regione. Le guerre che anno interessato la regione sono ancora troppo recenti. Le ferite di divisioni territoriali, etniche, culturali e religiose, ed anche geopolitiche, sono ancora molto fresche, altre ancora vive. Per questi motivi, la crisi kosovara rappresenta un grande punto di domanda in una regione che non dà ancora risposte.A essere interessati a queste elezioni saranno non soltanto i cittadini kosovari, ma anche in primo luogo la Serbia, l’Albania, il Montenegro, la Russia, l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. In ballo non c’è soltanto un governo, ma la stabilità di un’intera regione che, negli ultimi mesi, è nuovamente al centro di forti lotte intestine che rischiano di accendere tensioni etniche e politiche che si riteneva di aver sedato. Gli ultimi richiami di Tirana a una Grande Albania comprendente anche il Kosovo non depongono a favore di una rapida risoluzione della crisi. La visita del presidente albanese a Pristina rappresenta, al contrario, un ulteriore fattore di crisi internazionale che, per i Balcani, vuol dire riaprire ferite che, dopo anni, faticano a volersi chiudere.





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