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“Gli Stati non hanno né amici permanenti né nemici permanenti: hanno solo interessi”, sosteneva Henry Kissinger, la voce onnisciente della politica estera americana. Il Segretario – a vita – della Casa Bianca ha iniziato ad osservare gli assetti bipolari nel mondo quando era sottufficiale d’intelligence per il controspionaggio, chino sulla scrivania mentre traduceva informazioni dal tedesco, per poi passare il tempo libero con gli agenti dell’Oss (il padre dell’odierna Cia, ndr) nella Germania che gli ex alleati si erano spartiti al termine del secondo conflitto mondiale. E ancora oggi, dopo aver consigliato ufficialmente due presidenti, Richard Nixon e Gerald Ford tra il 1969 e il 1977 (e ufficiosamente tanti altri, da Eisenhower a Kennedy a Johnson), continua ad ammaliare con l’estrema lucidità delle sue analisi riguardo gli assetti politici che si imporranno al termine della crisi globale provocata dalla pandemia di Covid-19.

Una crisi che vede da una parte la Cina ricoprire una posizione difficile, accusata d’essere l’unica “colpevole”, e che essendo largamente dipendente dalle esportazioni (più del 20% del Pil) si troverà a dover fronteggiar un congelamento della propria ascesa economica. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, che si sono scoperti impreparati e si troveranno, insieme ai partner dell’Eurozona, ad affrontare un crollo dei mercati che potrebbe condurre il Nuovo e il Vecchio continente sulle orme di una recessione simile a quella del secolo scorso. Una tempesta perfetta che può essere l’innesco per una guerra d’interessi che mira a promuovere, se non altro, la propria sopravvivenza in una nuova era di de-globalizzazione.

“Le sue biografie sono oggetto di ricerche che rasentano il culto” scriveva Oriana Fallaci già nel 1972. E non a torto. Le idee, le parole, i postulati di Henry Kissinger non sbiadiscono, anzi, sono “sempre attuali”, come certi evergreen da piano bar. Leggendo la sua citazione nei report sulle relazioni tra America e Cina che il Corriere della Sera riporta con diligenza, non si può fare a meno di soffermarsi ancora una volta a riflettere su quanto ciò che il “professor Henry” sosteneva ai tempi di Mao Zedong sia quanto mai attuale anche adesso che alla guida del Dragone c’è Xi Jinping. “I Cinesi, avendo fatto a meno di noi per 5000 anni, pensano di poter continuare a farne a meno”, aveva detto in un’altra occasione sempre lui. E ora che la Cina e i suoi Stati Uniti sono di nuovo ai ferri corti dopo le accuse lanciate da Donald Trump – che vede in Pechino l’unico vero colpevole della pandemia – ribadisce: “Il confronto sta diventando conflitto e può finire in un esito disastroso per l’umanità”. Così Kissinger torna ad essere profeta di scenari temibili al quale dare ascolto prima che diventi troppo tardi. 

Troppo tardi perché secondo il Washington Post, “una Guerra fredda” è già in atto, e l’iniziare ad “addensarsi dell’ostilità anti-cinese come una pesante nuvola nera” può solo farla riscaldare sullo sfondo della guerra economica combattuta a colpi di dazi e sanzioni che perdura nei confronti di Pechino. Una guerra di “interessi” appunto, non più di ideologie. Una guerra che può spingere la Casa Bianca ad impiegare quella “realpolitik” che Kissinger in passato ha suggerito, applicato e saputo dosare. Ma che può registrare anche una dura risposta di una Cina sempre più potente e sicura sul piano militare.

Trump ha recentemente dichiarato che potrebbe anche decidere di interrompere le relazioni diplomatiche con Pechino e che “il bilancio economico della pandemia ha fornito ulteriori prove riguardo il fatto che gli Stati Uniti dovevano fare di più per disconnettersi dalle catene di approvvigionamento globali che attraversano la Cina”. Tra le fila repubblicane, dove sono annidati da sempre i più temibili falchi di guerra d’America, sono in molti a chiedere l’applicazione di ulteriori sanzioni e nuove leggi per “punire” Pechino per il suo “presunto ruolo nel coprire le fasi iniziali dell’epidemia” che poi si è tramutata in una pandemia con 320mila morti e delle ripercussioni ancora inimmaginabili sull’economia mondiale. Una linea che troverebbe d’accordo anche l’antagonista del tycoon nella corsa alle prossime elezioni presidenziali: il democratico Joe Biden.

In generale sembra che in America stia montando un sentimento anti-cinese bipartisan che non si registrava da decenni. Un sentimento che è stato chiaramente percepito dai funzionari del ministero della Sicurezza di Stato cinese, i quali ritengono che non si assisteva ad una “ostilità” così diffusa nei confronti di Pechino dagli eventi di Piazza Tiananmen. Secondo Orville Schell, direttore del Center on Usa-China Relations presso l’Asia Society, il mondo si trova “essenzialmente agli inizi di una (nuova) guerra fredda“: l’ennesimo conflitto che non può essere risolto attraverso uno scontro frontale. Poiché come sosteneva Nixon ai tempi del Vietnam: “Interromperebbe quella sorta di trattato universale di non aggressione” rischiando così di innescare l’olocausto nucleare. L’incubo di tutti i presidenti degli Stati Uniti che il professore di Harvard con origini ebraiche ha sempre saputo consigliare con la sua machiavellica sagacia. Kissinger infatti ha sempre privilegiato una strategia diplomatica raffinata per mantenere l’attuale equilibrio negli assetti globali. Propendendo per la forza solo quando l’avversario non poteva restituire il colpo.

Kissinger ha recentemente detto durante in un suo intervento a Pechino – dove è sempre rimasto il benvenuto – che la competizione tra queste grandi potenze mondiali sta assumendo sempre più le sembianze di un vero e proprio conflitto che “può finire in un esito disastroso per l’umanità”. Rammentando ai suoi uditore come la prima guerra mondiale sia scoppiata per crisi di entità assai minore dell’odierna ma che rivelò la letale potenza dei nuovi armamenti che avevano riempito gli arsenali delle forze in campo.

Allora erano gli Zeppelin che bombardavano per la prima volta una metropoli, i gas che asfissiavano interi reggimenti, le mitragliatrici e i primi tank. Oggi parliamo di un singolo aereo capace di trasportare testate nucleari con una potenza mille volte superiore a quelle rilasciata su Hiroshima. Armi di distruzione di massa che rischiano di mettere ancora una volta in scacco il futuro dell’interno pianeta se solo lungo le rotte commerciali del Mar Cinese ormai “militarizzato”, o nello stretto di Taiwandove le tensioni tra Taipei e Pechino sono sempre alle stelle, un semplice incidente degenerasse in uno scontro aeronavale che potrebbe portare ad un escalation su vasta scala. Anche allora non ci saranno “nemici” ma solo “interessi” da far valere: perché nessuno vorrebbe ritenersi responsabile di un nuovo olocausto nucleare.

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