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Si sarebbe assunto la responsabilità di un gesto tanto grave quanto eclatante come la morte di Jamal Khashoggi, uno dei più celebri giornalisti contemporanei, editorialista del Washington Post, ma soprattutto voce prima vicina al potere della famiglia reale saudita, poi divenuta quella di un dissidente, deceduto in circostanze mai chiarite all’interno del consolato saudita a Istanbul. E potrebbe averlo fatto per ripulire la propria immagine pubblica, perché ammettere un “errore” anziché negarlo avrebbe dato di lui un’immagine più positiva.

La dichiarazione di Mohammad bin Salman

E il sospetto, in queste ore, è proprio questo: perché se è vero, come riporta un articolo di al Jazeera, che Mohammad bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita, avrebbe affermato di sentirsi responsabile dell’uccisione di Khashoggi, perché avvenuta, di fatto, “sotto il suo controllo”, è necessario indagare le ragioni di questa ammissione. A diffondere la (presunta) dichiarazione un documentario della Pbs, che sarà trasmesso il 1° ottobre, in occasione dell’anniversario dell’assassinio dell’intellettuale, entrato vivo all’interno della struttura governativa e mai più rivisto vivo (o morto) da nessuno. Secondo quanto riportato da un’anteprima del documentario, la frase “è successo sotto il mio controllo, mi assumo tutte le responsabilità” sarebbe stata detta a Martin Smith (della Pbs).

Le versioni “reali”

Il principe ereditario, che non solo a Riad in questo momento rappresenta il potere pressoché assoluto della famiglia reale, non ha mai parlato pubblicamente della morte di Khashoggi. O meglio, lo ha fatto ma tra tante versioni e diverse contraddizioni. Eppure la Cia e diversi governi occidentali, in questi mesi, più volte hanno attribuito proprio a lui il brutale assassinio del giornalista (anche se i funzionari sauditi hanno sempre negato ogni coinvolgimento diretto).

Un’ombra sul principe ereditario

La sparizione di Khashoggi prima e la sua morte poi hanno prodotto delle conseguenze sul piano internazionale. E la confusione generata dalla sospetta quanto improvvisa scomparsa dell’uomo ha iniziato a offuscare l’immagine del principe ereditario che, fino a quel momento, aveva resistito persino alle critiche sulle posizioni controverse che lo legavano alla guerra nello Yemen, perché ritenuto una figura più progressista e moderna rispetto a chi lo aveva preceduto. Ma dal momento in cui Khashoggi è stato dichiarato morto, Mohammed bin Salman non ha più visitato né Europa né Stati Uniti.

Smentite, depistaggi e contraddizioni

Dopo le iniziali smentite, il racconto ufficiale della casa reale incolpava dell’omicidio un gruppo di agenti segreti “deviati”, sfuggiti quindi al controllo reale. Il pubblico ministero disse che l’allora vice capo dell’intelligence ordinò il rimpatrio di Khashoggi, ma che il negoziatore principale gli ordinò di ucciderlo dopo che fallirono le discussioni sul suo ritorno nel Paese. In base a quanto riportato dalla testata del Qatar, il procuratore avrebbe fatto sapere che un ex consigliere reale che, secondo Reuters, avrebbe dato ordine di esecuzione dell’assassinio via Skype, avrebbe informato la squadra sulle attività del giornalista prima dell’operazione.

L’impossibilità di controllare tutto

E alla domanda su come Mohammed bin Salman potesse non sapere di un omicidio ordinato a sua insaputa, Smith (della Pbs) avrebbe citato direttamente le parole del principe ereditario: “Siamo circa 20 milioni di persone: tre milioni sono impiegati nel governo”. Che suonerebbe quasi come una giustificazione, come a dire che non è possibile controllare tutto. Tesi non del tutto credibile agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, che pensa all’Arabia Saudita come a una delle più strutturate potenze economiche del mondo (grazie soprattutto alle grandi quantità di petrolio esportate e gli interessi economici che ne derivano). Smith, a quel punto, avrebbe domandato al principe se gli assassini avrebbero potuto prendere un jet governativo privato e, di fatto, agire da soli e il principe gli avrebbe risposto: “Ho funzionari e ministri preposti a seguire queste cose e loro sono i responsabili. E hanno anche l’autorità di farlo”. Dopo la morte del giornalista, 11 sospettati sauditi sono stati processati in procedimenti ritenuti segreti e solo alcune di quelle udienze hanno seguito un iter organizzato.

La sparizione

Khashoggi è stato visto in vita un’ultima volta poco prima di varcare la soglia del consolato saudita, il 2 ottobre 2018. Lì avrebbe dovuto ricevere i documenti di cui aveva bisogno per sposare la compagna, Harice Cengiz. Si ritiene che il suo corpo sia stato smembrato, con l’aiuto del dottor Salah Muhammed al-Tubaigy, capo della Forensic Evidence presso il dipartimento di sicurezza generale saudita, incaricato di fare a pezzi il corpo del giornalista.

“L’ammissione? Solo una minima responsabilità”

Secondo Mahjoob Zweiri, direttore del Gulf Studies Center della Qatar University di Doha, l’ammissione di Mbs rappresenterebbe soltanto una “minima responsabilità”. Per il docente, il principe avrebbe fatto quella dichiarazione supponendo un’accoglienza positiva da parte dell’opinione pubblica internazionale. Il messaggio, chiaro, sembrerebbe quello di un leader che sta accettando la responsabilità del suo gesto, ma che “non dovrebbe essere criminalizzato per questo”. Secondo il docente, una sorta di “responsabilità morale piuttosto che una responsabilità penale”. Le dichiarazioni del principe ereditario arrivano in un momento in cui l’Arabia subisce una serie di battute d’arresto: le strutture petrolifere prese di mere, il raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti, il conflitto nello Yemen dopo che gli Emirati Arabi Uniti hanno ridotto il loro ruolo nella coalizione contro i ribelli Houthi. “Quando si mettono insieme questi fattori”, ha spiegato Zweiri, “essi compongono una sorta di pressione politica e mediatica sul Paese”. Che ha aggiunto: “In altre parole, sarebbe molto difficile per Mohammed bin Salman lavarsene le mani e dire ‘Non ho niente a che fare con questo'”.

Le ultime parole di Khashoggi

All’inizio di settembre, un quotidiano turco ha pubblicato le trascrizioni di alcune registrazioni audio degli ultimi momenti di vita del giornalista saudita. Le intercettazioni dimostrano come il piano della sua morte fosse premeditato e si sentono, chiaramente, le ultime parole scandite da Khashoggi: “Ho l’asma, non farlo. Mi soffocherai”. Poi più niente.

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