Gli intrecci delle vie di Istanbul, il traffico costante e poi il consolato dell’Arabia Saudita. Sono queste, molto probabilmente, le immagini viste da Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post e grande accusatore del principe  Mohammed bin Salman, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Yemen

Inizia tutto il 2 ottobre attorno alle 13, quando Kashoggi entra nel consolato. La moglie lo aspetta fuori dall’edificio per ore. Alle 17 non lo vede, comincia a preoccuparsi e, così, decide di chiamare la polizia. Ma forse per lui  è troppo tardi. Il giorno dopo un amico, Turan Kislakci, racconterà: “Abbiamo parlato con le autorità turche e con la polizia. Sono convinto al 100% che sia nel consolato”. Poche ore dopo, Eli Lopez, direttore della sezione International Opinions del Washington Post denuncia: “Oggi non siamo riusciti a contattare Jamal e siamo molto preoccupati. Sarebbe ingiusto e oltraggioso se fosse stato arrestato per il suo lavoro di giornalista e opinionista. Speriamo sia al sicuro”.

Passano le ore e i giorni, ma di Khashoggi non si sa nulla. A distanza di una settimana, anzi, le notizie si fanno sempre più preoccupanti. Ha iniziato Ibrahim Kalin, portavoce della presidenza turca: “Secondo le informazioni a nostra disposizione, l’individuo in questione, che è saudita, si trova al consolato”. Non solo una dichiarazione di circostanza, ma una vera e propria presa di posizione. Chiunque abbia deciso di far fuori Khashoggi, non potrà contare sulla connivenza di Ankara.

Siamo ormai al 4 ottobre. Riad diffonde la sua versione dei fatti: Khashoggi è “scomparso dopo aver lasciato il consolato”, fanno sapere i sauditi. Ma è davvero così? E, se così fosse, come mai non ha avvertito la moglie? La versione non convince nemmeno i turchi, che convocano subito l’ambasciatore saudita. 

È palese che qualcosa non torna nella versione dei sauditi. L’Istituto internazionale della stampa punta subito il dito contro il principe Mohammed bin Salman: “Se, come rivendica, l’Arabia Saudita vuole davvero la transizione verso una società più aperta, dovrà accettare i diritti fondamentali, libertà di espressione e libertà di stampa. Fare questo significa innanzitutto rilasciare tutte le persone che sono state private della loro libertà di fare giornalismo ed esprimere le proprie opinioni, Khashoggi compreso”. Nessuna risposta.

Dov’è Jamal  Khashoggi?

Il 5 ottobre, il Washington Post pubblica un editoriale intitolato Dov’è Jamal Khashoggi?. Il giornale americano vuole tenere l’attenzione mediatica alle stelle, mentre in Medio Oriente si continua a tacere. “Il principe ereditario è stato in giro per gli Stati Uniti a predicare la sua visione di una società saudita più moderna – si legge sul Washington Post – Se è veramente impegnato per questo, accoglierà critiche costruttive da parte di amanti del Paese come Khashoggi. E farà tutto ciò che è in suo potere per garantire che Khashoggi sia libero e in grado di continuare il suo lavoro”.

Il quotidiano americano ricorda poi alcune parole del giornalista: “Ho lasciato la mia casa, la mia famiglia e il mio lavoro e sto facendo sentire la mia voce, altrimenti tradirei coloro che marciscono in prigione. Io posso parlare mentre tanti non possono”.

L’ispezione al consolato

Dopo quattro giorni – siamo al 6 ottobre – i sauditi permettono alle autorità turche di entrare nel consolato per cercare Khashoggi. È lo stesso Bin Salman a dare l’ok: “Si tratta di territorio su cui siamo gli unici ad avere giurisdizione, ma non abbiamo nulla da nascondere, possono entrare e cercare quello che vogliono”. Ovviamente non trovano nulla. I modi per far sparire un uomo da un consolato ci sono e sono molti. Gli inquirenti però sono sicuri: Khashoggi è stato ucciso all’interno di quell’edificio. Questa possibilità viene rilanciata anche dal presidente della Turkish-arab media association, Turan Kislakci, che afferma che Khashoggi è stato “barbaramente ucciso”.

Dove sta la verità? Per ora nessuno lo sa. Quel che è certo è che Mohammed bin Salman – da molti presentato come un principe illuminato capace di portare l’Arabia Saudita nel futuro – è in realtà un despota, come tanti in Medio Oriente. Basta ripensare a quanto successo a novembre dell’anno scorso, quando in una notte vennero arrestati molti principi che si opponevano al delfino e Saad Hariri, primo ministro libanese, venne costretto alle dimissioni. Bin Salman sta giocando ancora col fuoco. Ma ora rischia di scottarsi. 

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