Quest’anno, 2021, ricorre il trentesimo anniversario dell’indipendenza del Kazakistan, e la dirigenza ha in serbo dei grandi piani per commemorare l’evento. Uno di questi è stato svelato il 28 gennaio, quando il governo ha presentato al pubblico quello che potrebbe essere, o meglio che sarà, il prossimo alfabeto impiegato dalla lingua kazaka: un alfabeto latino.
Iniziare il riepilogo dell’ultimo trentennio dalla fine, più nello specifico dalla questione della de-cirillizzazione, è fondamentale e necessario al fine della comprensione di quanto e di cosa è accaduto in questo periodo: il Kazakistan ha cambiato volto, o meglio si è reimpossessato del proprio.
Tra modernità e tradizione
I trent’anni del Kazakistan possono essere condensati in, e spiegati da, un’unica parola: trasformazione. Il percorso verso l’emancipazione dalla pesante eredità sovietica è stato lungo, tortuoso e irto di ostacoli, in special modo di natura economica, ma, a differenza del vicinato postsovietico (e della stessa Russia), i livelli di instabilità e insurgenza sono stati limitati e contenuti.
Astana, capitale dal 1997 e in precedenza nota come Akmola, nel 2019 ha assunto un nuovo nome, Nur-Sultan, per omaggiare colui che ha permesso al Kazakistan di distinguersi dagli stati-polveriera dell’Asia centrale, il padre della nazione Nursultan Nazarbaev. La capitale, quasi interamente costruita da zero, rappresenta lo specchio e l’anima del Kazakistan: il centro affaristico moderno e americaneggiante, dove troneggiano palazzi di vetro e grattacieli, è circondato da una costellazione di moschee, chiese ortodosse e architetture che riflettono la peculiare identità eurasiatica, multietnica e multireligosa kazaka.
L’islam ha riottenuto centralità nella vita pubblica, cessando di essere “trattato alla sovietica”, ma questo non ha comportato un’islamizzazione tout court di politica, cultura e società. La dirigenza, infatti, ha eteroguidato il processo di risveglio identitario con il duplice risultato di evitare significativi processi di radicalizzazione religiosa – che, invece, hanno colpito significativamente Uzbekistan e Tagikistan – e di creare un clima di dialogo interconfessionale che ha garantito pace sociale e permesso al Kazakistan di reinventarsi fautore del dialogo di civiltà.
Il simbolo dell’agenda intercivilizzazionale è rappresentato dal Palazzo della Pace e della Riconciliazione, una piramide di sessantadue metri che sorge nel cuore della capitale, all’interno del ciclopico Parco presidenziale, e che è stata costruita nel 2006 per fungere da sede del Congresso dei leader delle religioni tradizionali e mondiali, un evento a cadenza triennale che promuove il dialogo tra culture, fedi e civiltà.
La prima economia dell’Asia centrale
Il Kazakistan è cambiato profondamente dal 1991 ad oggi, e non soltanto in termini di centralità intercivilizzazionale e di aspetto urbanistico. I risultati di un trentennio di politiche lungimiranti, intelligenti e bene implementate sono tanto visibili quanto tangibili, e sono stati riconosciuti, tra i vari attori, dalla Banca Mondiale e dalla Heritage Foundation.
Nur-Sultan, oggi, è la prima economia dell’Asia centrale, il prodotto interno lordo è raddoppiato dal 1995 al 2017 grazie ad un ciclo economico espansivo, quasi ininterrotto e, soprattutto, arricchente – il numero di coloro che vivono con meno di 3,20 dollari al giorno, ossia prossimi alla povertà assoluta, è stato virtualmente ridotto a zero nel 2009 –, e possiede il 25esimo clima d’investimento migliore del mondo (Banca Mondiale, 2020), la cui costruzione è stata agevolata dall’impulso riformista del dopo-Nazarbaev, dal leveraggio calibrato della finanza islamica e dalla formazione di dodici zone economiche speciali.
Numeri importanti, che sono una prova dei progressi dell’ultimo trentennio e che non sarebbero stati possibili in assenza degli investimenti stranieri piovuti dalla capitalizzazione della posizione geostrategica del Kazakistan, che è, a tutti gli effetti, il cuore del cuore terrestre mackinderiano. Anche in questo caso, le cifre sono autoesplicative: la nazione è attraversata da undici rotte commerciali transcontinentali che uniscono i mercati di Europa, Russia e Cina riducendo sensibilmente i tempi di trasporto su rotaia da un capo all’altro del continente. Questo è il motivo per cui il Kazakistan aderisce simultaneamente e senza conflitti d’interessi all’Unione Economica Eurasiatica, alla Belt and Road Initiative e al Consiglio Turco; tre progetti di integrazione macro-regionale rispondenti a tre potenze differenti, rispettivamente Russia, Cina e Turchia, e che hanno galvanizzato la fioritura dell’economia nazionale.
Infine, il focus costante e massiccio sulla diversificazione economica – funzionale a spezzare la maledizione delle risorse tipica degli stati ricchi di idrocarburi – ha condotto all’irrobustimento sostanziale dei settori turistico, automobilistico, edile e farmaceutico, all’espansione significativa dell’industria leggera e pesante, e alla conquista della primazia nel mercato globale dell’uranio – il Kazakistan è il primo produttore mondiale dal 2009 e domina il settore da una posizione quasi-monopolistica (nel 2019 ha generato il 43% della produzione uranifera del pianeta).