Un 29 agosto come oggi, ma del lontano 1991, un controverso poligono di tiro nucleare sito nel cuore del Kazakistan chiudeva i battenti definitivamente, ponendo fine ad un quarantennio di sperimentazioni ininterrotte di natura militare. Sperimentazioni che hanno lasciato un’impronta indelebile nella società e nell’ambiente, con la prima che ha acquisito una mentalità radicalmente antinucleare e con il secondo che continua a portare i segni di quei decenni bui.
Decenni, quelli dell’epopea caliginosa del sito nucleare di Semipalatinsk, altresì noto come “il poligono”, che sembrano essere giunti al capolinea soltanto ieri, perché quei segni, in quanto indelebili, risutano manifesti e visibili ancora oggi. E quei segni sono l’inusualmente elevata incidenza dei tumori, la sterilità agraria, le malformazioni fetali e la contaminazione di acque, terreno e sottosuolo causa inquinamento radioattivo.
Scrivere e parlare del caso Semipalatinsk è più che importante: è fondamentale. Perché la storia del Kazakistan è stata scritta in quest’area di circa 18mila chilometri quadrati – cioè l’equivalente del Galles, la cui superficie è di poco inferiore ai 21mila –, che, a partire dal 1989, sarebbe divenuta la culla di una “primavera kazaka” precorritrice dell’indipendenza.
E oggi, 29 agosto 2021, giorno che marca i trent’anni esatti della chiusura del poligono nucleare di Semipalatinsk – il primo atto del futuro presidente del Kazakistan indipendente, Nursultan Nazarbaev –, nella nazione centroasiatica è momento di festeggiamenti, raccoglimento e riflessioni. Festeggiamenti per i traguardi tagliati nell’ultimo trentennio in materia di bonifica dell’ex area nucleare e lobbismo internazionale in direzione del disarmamento. Raccoglimento per commemorare le vittime di quelle sperimentazioni – alle quali è stata dedicata un’opera monumentale nel 2001, la colonna “Più forte della morte”. E riflessioni su ciò che attende il Kazakistan all’orizzonte.
Un trentennale memorabile
La chiusura del poligono di tiro nucleare di Semipalatinsk, che ai tempi della guerra fredda fu il più grande e il principale laboratorio atomico dell’Unione Sovietica, ha compiuto ufficialmente trent’anni. I messaggi di auguri stanno arrivando da ogni parte del mondo, Stati Uniti inclusi, perché questo non è un anniversario qualsiasi: è un trentennale.
I mittenti sono tra loro molto diversi, ma il contenuto dei loro messaggi è simile, se non identico. Trattasi, invero, di congratulazioni per i successi conseguiti dal 1991 ad oggi. E i successi, numeri e fatti alla mano, sono innumerevoli. Uno, comunque, risalta tra tutti: la trasformazione del Kazakistan nella potenza-guida del movimento mondiale per il disarmamento nucleare – un titolo universalmente riconosciuto da singoli Stati, entità sovranazionali, realtà nongovernative e organizzazioni internazionali.
Ottenere quel titolo è stato possibile grazie ad una ricetta politica basata sulla mescolanza di due ingredienti: la preservazione della memoria a livello domestico – facilitata dai numeri del “trauma Semipalatinsk”: 456 esplosioni dal 1949 al 1989, un milione e mezzo di kazaki esposti alle ricadute radioattive, rendimento esplosivo 400 volte superiore a quello di Hiroshima nel solo periodo 1949-63 e la nascita di un “lago atomico” a seguito di un test effettuato nel 1963 – e l’assertività diplomatica a livello internazionale.
Mentre la politica della memoria ha contribuito a trasmettere ai kazaki nati nel dopo-Semipalatinsk il ricordo di quell’epoca, facilitando il radicamento di una mentalità fortemente antinucleare in ogni fascia d’età, l’assertività diplomatica sul piano internazionale ha servito un altro obiettivo: la traslazione in realtà di una delle tante ambizioni del visionario Nursultan Nazarbaev, che il 29 agosto 1991, al momento di decretare la fine dell’epopea del poligono di Semipalatinsk, auspicò la costruzione di un mondo libero dal nucleare per scopi militari.
Potenza-guida del movimento antinucleare
La visione di Nazarbaev ha condotto il Kazakistan all’interno del movimento mondiale per il disarmamento nucleare nell’immediato post-indipendenza. E con lo scorrere del tempo, complici le innumerevoli e frequenti iniziative e proposte formulate dalla dirigenza kazaka, Nur-Sultan ha potuto scalare uno ad uno i gradoni della piramide del sopraccennato movimento.
Tra i risultati più significativi ed incisivi ottenuti dalle presidenze Nazarbaev e Toqaev, in materia di denuclearizzazione, disarmamento e sensibilizzazione, figurano e spiccano i seguenti:
- La nascita della “zona franca da armi nucleari dell’Asia centrale”. Trattasi di un’area costituita nel 2006 su iniziativa dell’allora presidente kazako, Nursultan Nazarbaev, che vede i cinque –stan postsovietici (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) impegnati a non fabbricare, comprare o sperimentare armi atomiche.
- L’istituzione della giornata mondiale contro le sperimentazioni nucleari (International Day against Nuclear Tests) da parte delle Nazioni Unite. Introdotta nel 2009 su proposta del Kazakistan, tale giornata cade ogni anno di 29 agosto, ovverosia in occasione dell’anniversario della chiusura del poligono di Semipalatinsk.
- La formazione del gruppo di pressione antinucleare ATOM (Abolish Testing is Our Mission), lanciato nel 2012.
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La promozione in sede di Nazioni Unite della Dichiarazione universale sulla costruzione di un mondo libero da armi nucleari. Concepita da Nazarbaev allo scopo di denuclearizzare gli arsenali delle grandi potenze entro metà secolo, la dichiarazione è stata adottata dall’Assemblea generale nel 2015 e ad oggi, 2021, è stata firmata da 135 membri su 193.
I risultati illustrati sono la ragione per cui la comunità internazionale considera il Kazakistan la potenza-guida del movimento per il disarmamento nucleare, e spiegano la riguardevole quantità di messaggi che la segreteria della cancelleria kazaka riceve il 29 agosto di ogni anno. E messaggi particolarmente importanti, in occasione di questo trentennale, sono pervenuti dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e dagli Stati Uniti.
Il CSTO, il 26 agosto, ha formulato una dichiarazione congiunta nella quale viene evidenziato il contributo determinante dell’ex presidente kazako alla causa del disarmamento nucleare. Nella stessa, inoltre, viene posta una certa enfasi alla campagna di bonifica dell’ex sito di Semipalatinsk che, portata avanti dalle autorità kazake sin dal 1991, ha reso possibili il parziale ritorno alla normalità ambientale e il contenimento delle radiazioni.
L’amministrazione Biden, invece, in una nota per la stampa pubblicata due giorni fa, ha rammentato come “la decisione di grande importanza del Kazakistan su Semipalatinsk è stata la prima di una serie di misure fondamentali aventi come obiettivo il conseguimento di un mondo più pacifico”. La Casa Bianca, inoltre, ha reso edotti i lettori di un fatto poco noto: il contributo statunitense allo smantellamento del poligono. Un contributo che, tra le varie cose, alcuni anni or sono condusse gli specialisti a stelle e strisce sull’ex sito nucleare per eliminare “181 tunnel nel monte Degelen utilizzati per esperimenti nucleari”.
La nota si conclude con un ringraziamento “al governo del Kazakistan per il partenariato continuativo” con gli Stati Uniti in materia di disarmamento e per il suo impegno “lodevole” in direzione “della fine degli esperimeni nucleari nel mondo”. E viene sottolineato, infine, l’impegno della Casa Bianca nel rispettare (e nel far rispettare al resto del mondo) la moratoria sulle esplosioni nucleari e nel supportare il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari.
Due traguardi storici, la moratoria e il trattato, che sarebbero stati più difficili da raggiungere senza la campagna di pressione internazionale del Kazakistan dell’era Nazarbaev; un fatto di cui Stati Uniti e comunità internazionale hanno piena consapevolezza. Un fatto che spiega perché il 29 agosto, da dodici anni a questa parte, non sia più soltanto una data simbolo per il Kazakistan, ma per il mondo intero.