Una cittadina di circa 300mila abitanti nel Baden-Wurttemberg è la vera capitale d’Europa. Karlsruhe, sede della Corte costituzionale tedesca, potrebbe tornare ad essere la città in cui si decideranno i destini delle politiche comunitarie dopo aver accolto la proposta dell’ex membro e fondatore di Alternative fur Deutschland, l’economista Bernd Lucke, di analizzare il suo ricorso d’urgenza contro la ratifica del Recovery Fund da parte della Repubblica federale.

La “Città del Diritto”

Lucke, esponente dell’ala liberista della destra tedesca e oggi membro del Lkr (RIformatori liberalconservatori) ha presentato – insieme ad altri 2.200 cittadini, organizzati nel movimento politico Bündnis Bürgerwille – un ricorso di urgenza che mira a chiedere alla Corte costituzionale di Karlsruhe lumi sulla compatibilità tra il diritto nazionale tedesco e i regolamenti Ue che, in questo caso, impongono la creazione di strumenti di mutualizzazione del debito.

Una volta di più, dunque, l’Europa trattiene il fiato aspettando il pronunciamento tedesco. Non c’è un giudice a Berlino, sede della Cancelleria federale guidata dalla traballante Angela Merkel, né l’epicentro della politica tedesca ed europea è in questi giorni Francoforte, sede di Banca centrale europea e Bundesbank,Marburgo, rinnovata capitale dell’industria dei vaccini con cui Berlino vuole superare nei prossimi mesi le carenze della campagna anti-pandemica. Il cuore dell’Europa non è a Bruxelles, Strarsburgo o Lussemburgo, ma la Residenz des Rechts (Città del Diritto) di Karlsruhe. E l’autorità commissaria dell’Europa torna ad essere quel tribunale interno al Paese-guida dell’Unione chiamato a decidere in che misura le decisioni comunitarie sono funzionali all’interesse nazionale tedesco. Con implicita ammissione del fatto che, qualora si svelassero delle falle, a cambiare dovrà essere non l’impianto federale ma quello comunitario.

Le offensive per il sovranismo finanziario

La chiave di lettura su cui si muovono i promotori delle richieste di intervento della Bundesverfassungsgericht (BVerfG) è quella del sovranismo fiscale: perché la Germania, che si presenta come la nazione virtuosa dell’Europa, dovrebbe pagare per il debito e le spese destinate al resto d’Europa? Con buona pace degli euro-entusiasti e dei federalisti europei, i tedeschi capofila dell’Unione cercano dapprima sul fronte interno le risposte. Vero e proprio paladino delle cause alla corte di Karlsruhe è stato l’economista Markus Kerber. Dal 2009 ha portato la Consulta tedesca all’adozione di una serie di misure che rendano effettivo il ruolo del Bundestag e del Bundesrat nel quadro di alcune procedure contemplate dai Trattati funzionali a modificarli o integrarli in modo semplificato o implicito.

Sconfitto, di fatto, dalla disapplicazione da parte dell’Ue della richiesta di chiarimenti sul Qe di Mario Draghi fatta dalla Corte nel maggio 2020, Kerber è tornato recentemente all’assalto contestando la legittimità del suo erede, il Pandemic Emergence Purchase Plan (Pepp), di fronte all’istituzione di Karlsruhe: “Il Pepp è un caso palese di finanziamento monetario degli Stati. E ciò è chiaramente vietato dall’articolo 123 del Trattato Ue”, ha scritto in una recente mozione presentata assieme ad imprenditori e finanzieri tedeschi. Una grana in più dopo quella aperta dal ricorso di Lucke, vero e proprio siluro sulla politica di compromesso della Merkel e nuova fonte d’incertezza per tutta Europa.

La corte di Karlsruhe ha potuto acquisire un’importanza tale nel suo interventismo per la dottrina istituzionale promossa dal suo ex presidente, Andreas Voßkuhle. Dal Fiscal compact, al Meccanismo europeo di stabilità, passando per i piani della Banca centrale europea, Voßkuhle è stato ispirato nella guida della massima istituzione costituzionale della Germania e nell’indirizzo delle sentenze da un’ideologia ben riassunta da Il Foglio: “C’è una precisa concezione dei rapporti tra Unione europea e stati membri”, si faceva notare dopo la sentenza del 5 maggio 2020 che apriva dei dubbi sul quantitative easing di Draghi: “gli Stati restano i signori dei Trattati (Herren der Verträge) e l’Unione non è una federazione, ma un ente di collegamento tra stati (Staatenverbund) con un alto deficit di legittimazione democratica”. La Corte guidata da Voßkuhle ha dunque operato un vero e proprio stravolgimento del principio di sussidiarietà: l’Unione gestisce precise competenze nella misura in cui sono gli Stati a concedergliele, e tra questi Stati è la Germania a scegliere il perimetro.

Merkel spera nel giudice “europeista”

Come scrive Il Sole 24 Ore, c’è un minimo comune denominatore delle richieste presentate a Karlsruhe: “La motivazione principale del ricorso”, in tutti i casi, “è nell’argomento secondo cui i paesi deboli dell’Unione europea potrebbero non rimborsare la loro quota di debito costringendo la Germania di farsi carico di somme di valore incerto ma comunque giudicato molto elevato”. Parliamo di un attacco alle mosse della Cancelliera, che aveva trovato nel rilancio dell’interventismo pubblico e del superamento delle logiche austeritarie un fattore di valorizzazione dell’interesse nazionale tedesco dopo la pandemia, di una vera e propria destabilizzazione dell’architettura comunitaria di risposta al Covid-19 ma anche, in prospettiva, di un nuovo disvelamento delle asimmetrie interne all’Unione.

Assieme a Commissione, Bce, Parlamento europeo, in teoria, l’autorità apicale dell’Ue dovrebbe essere la Corte di Giustizia Europea, la cui giurisprudenza è però sempre messa in discussione dai “controlimiti” imposti da Karlsruhe che decidono, volta per volta, cosa è legittimo per Berlino e, dunque, cosa è applicabile nelle politiche di portata comunitaria. Questo ricorda quale Paese abbia il potere, in ultima istanza, e l’ultima parola sugli affari comunitari: la Germania. Una Germania in cui i conflitti interni diventano scontri di livello europeo, e in cui la Merkel e i suoi sperano nei buoni uffici del presidente Stephan Harbart, succeduto nel giugno 2020 a Voßkuhle e ritenuto più morbido nei confronti della giurisprudenza europea, per chiudere rapidamente l’incidente e attestare, come ribadito dal Ministro delle Finanze Olof Scholz, “che l’autofinanziamento dell’Europa con mezzi propri sia ben radicato su un fondamento stabile, sia a livello costituzionale, sia a livello europeo”. Ma finché la Corte non si sarà pronunciata non sarà detta l’ultima parola. Potenza del diritto e della sua capitale nel cuore dell’Europa. Un continente che per capire la portata della risposta possibile alla pandemia è oggi appeso al sottile filo dei giudici di Karlsruhe.

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