Secondo indiscrezioni raccolte da due giornalisti del New York Times, Jill Biden, futura first lady, non avrebbe affatto visto di buon occhio la cooptazione di Kamala Harris nel ticket presidenziale. Su una cosa erano tutti d’accordo: la candidata vicepresidente doveva essere una donna di colore, esattamente lo stesso criterio di scelta adottato, anche in queste settimane, per la nuova nomina alla Corte Suprema. Ma Kamala Harris era invisa alla moglie del candidato Biden, perché lo aveva sfidato nelle primarie del Partito Democratico, dove lo aveva anche indirettamente accusato di razzismo. “Ci sono milioni di persone negli Stati Uniti, perché dobbiamo scegliere proprio una che ha criticato Joe?” Già perché? Mai scelta si è rivelata più controproducente, come dimostrano le dimissioni a raffica nello staff della vicepresidente. Che sta continuando a collezionare gaffe, anche in tempo delle peggior crisi di politica estera degli ultimi vent’anni.

Ora che le elezioni sono acqua passata, queste piccole/grandi controversie emergono nel libro This Will Not Pass: Trump, Biden and the Battle for America’ s Future di Jonathan Martin e Alexander Burns. La scelta della Harris, oltre che per il sesso e il colore della pelle, venne fatta proprio per ricucire il partito dopo una facile vittoria di Biden nelle elezioni primarie del 2020. Una candidata della sinistra del partito, attenta al problema degli immigrati, ex ministro della giustizia della California (dunque anche Silicon Valley e Big Tech): è stata una scelta strategica, indubbiamente. Ma non ha pagato. La prima controversia ha riguardato la sua incredibile assenza, nel pieno della crisi degli immigrati illegali dal Messico, il più alto numero di ingressi dal 1960. Nel suo viaggio di Stato in Guatemala e in Messico aveva stupito tutti per aver detto agli aspiranti emigranti di “non venire”, dopo una campagna elettorale tutta improntata sull’accoglienza ed anni di polemica con l’amministrazione Trump proprio sull’immigrazione.

Poi sono arrivate le risate. La prima sull’Afghanistan, nel pieno della ritirata americana, quando una giornalista le stava chiedendo cosa avrebbe fatto l’amministrazione per gli americani rimasti intrappolati nel Paese. La seconda, stesso identico errore, provocata probabilmente da uno scambio di battute e di sguardi con il presidente polacco Andrzej Duda, ma proprio mentre una giornalista le chiedeva cosa avrebbero fatto gli Stati Uniti per accogliere i profughi di guerra ucraini. I fact checkers si sono messi subito al lavoro per dimostrare che (come nel caso precedente) la Harris non aveva riso a causa della domanda. Si è però trattato di un tempismo sbagliato. Nessun problema se si parlasse di una persona qualunque, ma una vicepresidente non se lo può permettere.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La debolezza dell’amministrazione Biden si traduce in una sempre minore popolarità. Il presidente, dopo aver goduto di un tasso di approvazione stabilmente superiore al 50% fino alla primavera del 2021, oggi sta letteralmente affondando. Un calo costante, che continua, nonostante la guerra in Ucraina, una crisi in cui gli Usa sono coinvolti (benché non siano partecipi direttamente) e che, con un altro presidente, avrebbe probabilmente consolidato il consenso attorno al comandante in capo. Ora 7 americani su 10 non approvano Biden, secondo un sondaggio commissionato dalla Nbc, che pure è un network tutt’altro che di sinistra.

Non si tratta neppure dell’impopolarità della guerra in sé, né della scelta del presidente democratico ad aver deciso di appoggiare apertamente la causa dell’Ucraina. Nello stesso sondaggio Nbc, infatti, il 67% degli intervistati esprime un parere positivo su Volodymyr Zelensky e appena l’1% dice di avere un buon concetto di Vladimir Putin, il 51% ha un’idea positiva della Nato contro solo il 14% negativa.

È dunque proprio l’amministrazione Biden in sé a risultare altamente impopolare. Il sondaggio Nbc è confermato dalla media dei rilevamenti effettuata da Real Clear Politics: 42,9% favorevoli contro il 51,9% sfavorevoli. E a trainare questa tendenza negativa c’è sicuramente Kamala Harris: sulla vicepresidente, solo il 37,7% si dice a favore del suo operato contro il 52,1% di sfavorevoli. Tutti numeri su cui i Democratici dovranno riflettere bene, prima delle elezioni di Medio Termine che si terranno a novembre.

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