Boris Johnson e Rishi Sunak sanno che quella per la leadership Tory dopo la caduta di Liz Truss non sarà una contesa come tutte le altre. Il vincitore delle elezioni 2019, l’architetto della Brexit, l’istrionico capo del governo che ha proclamato la vittoria contro pandemia e rivali dell’uscita di Londra dal Regno Unito, da un lato. Il Conservatore di origini indiana di maggior successo nella storia britannica, il compassato e competente Brexiter che ha moderato il suo liberalismo per diventare il “figlioccio” di BoJo e lavorare come suo Cancelliere dello Scacchiere prima di pugnalarlo alle spalle, dall’altro.

Così simili eppure così diversi. Johnson ha contribuito alla rapida ascesa di Sunak, trasformandolo nel ministro chiave del suo esecutivo, garantendogli le chiavi delle finanze del Regno Unito. Questi ha a sua volta aggiunto una vena originale alle proposte di discontinuità economica di Johnson ma coltivato anche ambizioni personali all’ombra dell’ex inquilino di Downing Street. A luglio fu proprio il combinato disposto tra le sue dimissioni e quelle del collega alla Salute Savid Javid a travolgere il governo Johnson innescando la spirale di dimissioni che colpì l’esecutivo. Ma nelle settimane successive Johnson rese pan per focaccia all’ex delfino, non facendo nulla per evitare che i sostegni della base conservatrice andassero alla Truss nel voto delle primarie contro il “traditore” Sunak.

Il risultato? L’elezione di una thatcheriana classica, ex Remainer convertita sulla via di Damasco e avulsa dalle logiche di partito di Johnson a scapito di una figura sostanzialmente di maggior continuità. Quarantacinque giorni dopo il governo Truss si è avvitato e Johnson e Sunak affilano le armi per prepararsi alla disfida-lampo che entro il 28 ottobre darà al Partito Conservatore un nuovo leader e al Paese un nuovo premier.

Il 1922 Committee che governa il Partito Conservatore ha stabilito regole precise per l’elezione straordinaria in delega al lungo processo decisionale dei Tory. Le candidature si chiuderanno alle 14 del 24 ottobre 2022 e i candidati che vogliono contendersi la leadership devono ottenere candidature da almeno 100 deputati prima della scadenza delle nomine. Con 357 parlamentari conservatori al momento dell’elezione, ciò significa che ci possono essere, al massimo, tre candidati. Se tre candidati raggiungeranno la soglia di nomina, si terrà una votazione dei parlamentari conservatori per eliminarne uno. Si terrà quindi un voto indicativo dei parlamentari conservatori tra gli ultimi due. Successivamente, ci sarà una votazione online per i membri del Partito Conservatore per scegliere tra i due candidati rimanenti. Se solo un candidato raggiungesse al primo processo il requisito di nomina, diventerebbe automaticamente il leader del partito.

Si profila dunque la possibilità di un testa a testa diretto Johnson-Sunak. L’ex Cancelliere dello Scacchiere, alla sera del 22 ottobre, era ben sopra la soglia, a 120 endorsement per la precisione a detta della commentatrice politica di Sky News Beth Rigby. Più staccato Johnson, tornato in fretta e furia dai Caraibi, che però con 56 consensi punta a chiudere presto la partita. Terza l’unica candidata esplicitamente scesa in campo, l’ex Ministro della Difesa Penny Mordaunt, a 23 appoggi tra i parlamentari.

Sunak conquista consensi tra gli storici volti del partito. Ha avuto il via libera di David Forst, esponente storicamente vicino a Johnson e tra gli architetti della Brexit. Questi ha dichiarato che i Tory devono guardare avanti: “Boris Johnson sarà sempre un eroe per aver realizzato la Brexit. Ma dobbiamo andare avanti. Non è giusto rischiare di ripetere il caos e la confusione dell’ultimo anno. Il partito conservatore deve sostenere un leader capace che possa realizzare un programma conservatore. Questo è Rishi Sunak”. L’ex Cancelliere dello Scacchiere ha incassato e acquisito fiducia. Ha ottenuto l’ok alla candidatura di Dominic Raab, ex vicepremier di BoJo. Ha incassato il sostegno di David Davis e Kemi Badenoch, rispettivamente ex sostenitore principale di Mordaunt e massima esponente della destra del partito.

La strategia di Johnson è invece quella di puntare sui consensi dei backbenchers, i parlamentari portati a sorpresa a Westmeinsters sull’onda lunga del successo elettorale del 2019. Nel frattempo vuole mobilitare l’entusiasmo di una base che teme un trionfo dei Laburisti in caso di ritorno alle urne.

Se Mordaunt non toccherà i cento endorsement potrebbe esserci un faccia a faccia diretto tra l’ex premier e il suo ex favorito numero uno all’interno del governo. Una sfida che dimostrerebbe quanto oramai i dissapori umani prevalgano sulla vera politica nel quadro della contrapposizione interna a una formazione che accusa stanchezza e logoramento dopo dodici anni consecutivi di potere vissuti sull’ottovolante, tra tradimenti intestini, la Brexit, il Covid, la guerra in Ucraina, la crisi energetica. E che rischia di fratturare ulteriormente una formazione già allo sbando. Johnson e Sunak lo sanno. Hanno combattuto fianco a fianco in sfide importanti e vogliono cercare, ove possibile, di portare sui programmi politici per il futuro del Regno Unito l’eventuale duello.

Impresa improba: le visioni politiche dei due sono a dir poco sovrapposte su molti temi. La contesa, specie nell’affidamento al voto della base, si risolverebbe in un braccio di ferro emotivo. E forse anche per questo motivo nella serata di sabato, come rivelato da Laura Kuenssberg della Bbc, Johnson e Sunak si sono incontrati.

Bocche cucite sui contenuti dell’incontro. Ma la sensazione di molti commentatori è che i due vogliano evitare che un governo partigiano e fazioso nasca dalle elezioni. Soprattutto, c’è la comune volontà di evitare una spaccatura tra leadership politica e base.

Mentre l’ex direttore del Daily Telegraph Charles Moore, amico di Johnson, lo esortava a non candidarsi, dicendo che era troppo presto per tornare e che Sunak aveva avuto ragione sui tagli fiscali non finanziati che avevano travolto Liz Truss, si rincorrevano voci sul fatto che in ultima istanza Johnson potrebbe persino finire per sostenere Sunak, l’uomo che ha attivamente contribuito a bloccare dalla conquista della leadership, qualora si prefigurasse un rischio del genere. Più probabilmente, se Mordaunt non sarà della partita a tre, in caso di faccia a faccia la base di accordo di fatto potrebbe essere quella di una futura composizione di governo simile al secondo esecutivo di Johnson, in carica dal dicembre 2019 al settembre 2022, fondato sull’equilibrio tra le diverse cariche del partito. Di cui sia Johnson che Sunak potrebbero fare parte.

Tale scelta sarebbe la via di fuga al caos scatenatosi negli ultimi tempi per evitare che un ritorno repentino alle urne spazzi via la maggioranza dei Conservatori. Un sondaggio da brividi di People Polling parla di un vantaggio dei Laburisti ormai salito a 39 punti percentuali, 53% contro il 14% dei Conservatori allo sbando e di una proiezione dei seggi che darebbe in caso di elezione anticipata una vittoria senza precedenti alla sinistra, capace di conquistare 523 seggi su 650 e di far precipitare i Tory in quarta posizione, al minimo storico, con soli 5 seggi, superati anche da Liberaldemocratici e Scottish National Party.

Di fronte a tale scenario si apre la contesa per la leadership in cui Johnson e Sunak potrebbero accelerare o comprimere questo declino a seconda dell’animosità con cui i rancori personali saranno messi in campo. Razionalmente è nell’interesse di entrambi contenerli. Ma nella politica ragione e sentimento spesso non coincidono. Lo scrittore Tim Bale ha scritto sul Financial Times che il Partito Conservatore “è un dinosauro che, nel corso degli anni, è comunque sopravvissuto a diversi massicci attacchi di meteoriti che ci si sarebbe potuto aspettare che lo finissero una volta per tutte”. Questa volta però l’impatto rischia di essere rovinoso. A Johnson e Sunak il compito di capire se la loro volontà è quella di accelerarne o rallentarne gli effetti.

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