Boris Johnson, all’inizio di questa partita, non poteva immaginare uno scenario migliore di quello che lo vedrà contrapposto a Jeremy Hunt nell’ultimo turno valevole per eleggere il leader del Partito conservatore, quindi il premier dell’esecutivo che traghetterà il Regno Unito fuori dall’Unione europea entro il prossimo 31 ottobre.
È una sceneggiatura favorevole all’ex sindaco londinese, tanto che in Gran Bretagna si domandando se Boris Johnson abbia influito o no sul corso degli eventi, deviando sul segretario di Stato un quantitativo di preferenze in grado di far uscire di scena quel Michael Gove che, prima dell’ultimo giro di primarie interne tra i parlamentari conservatori, aveva raggiunto la seconda piazza del podio, quella buona per l’uno contro uno finale. Non sarebbe una nota stonata sullo spartito di una storia iniziata almeno tre anni fa.
Era l’estate del 2016, i risultati sul referendum avevano appena terminato di circolare sui media e Boris Johnson e Michael Gove marciavano uniti, in maniera sincronica, nel nome dell’antieuropeismo e della Brexit. Poi qualcosa tra i due si è rotto: il secondo si è andato a schiantare, in solitaria, contro Theresa May, venendo meno alle ambizioni e, soprattutto, alla candidatura dell’ex ministro del Lavoro. Il resto è cronaca dei tempi recenti. Una volta lasciati andare il passato e le dinamiche correntizie, Boris Johnson può concentrarsi solo sulla base militante. Saranno loro, gli iscritti dei Tories, a scegliere se affidarsi alle sue mani o a quelle di Jeremy Hunt.
Il match può apparire scontato, ma non lo è affatto. Intanto perché uno è davvero la nemesi dell’altro, per stile, posizioni e modo di concepire la politica. Boris Johnson sarebbe lo studente modello di un corso sul trumpismo: è un leader conservator-populista che può far comodo agli Stati Uniti. Nel caso l’ex primo cittadino di Londra trionfasse, gli States avrebbero la strada spianata per stipulare accordi commerciali bilaterali. Tralasciando le somiglianze fisiche, non è un caso che The Donald abbia già battezzato Johnson come premier capace di fare un ottimo lavoro.
Jeremy Hunt, invece, è un conservatore aperto alla globalizzazione e ai sui effetti. Conosce il giapponese (vedi qui) perché sua moglie è giapponese e non sembra avere alcune intenzione di rinchiudere il Regno unito dentro il recinto dei confini nazionali. La differenza sostanziale risiede nel valore che Boris Johnson e Jeremy Hunt attribuiscono all’accordo con Bruxelles: per il primo è importante, ma non vincolante rispetto all’uscita; il secondo ritiene che sia essenziale onde evitare l’avvento di un futuro economico quantomeno complesso da gestire. Era la linea di Rory Stewart, ma l’ultimo passaggio delle votazioni si è rivelato fatale pure per il quarantaseienne.
Il 22 luglio conosceremo l’esisto di questa sfida.